Mke T43, capolavoro di raffinata semplicità

È la controparte civile del celebre Hk33: la chiusura metastabile a rulli è la sua firma distintiva. Il funzionamento è impeccabile. L'alter ego ideale dei cloni Ar 15

Di Matteo Cagossi – foto Matteo Galuzzi

Durante il “fuggi-fuggi” generale a seguito della capitolazione della Germania nazista, molti eminenti scienziati e ingegneri tedeschi cercarono rifugio in Paesi stranieri. Fu il caso, per esempio, di Werner Von Braun, inventore dei razzi V1 e V2, arruolato dagli americani.
Una piccola schiera di “cervelli” specializzati in armamenti terrestri ripiegò anche nella Spagna fascista di Franco. Tali personaggi, precedentemente impiegati presso aziende quali Mauser, Walther, Rheinmetall, Krupp e altri, furono prontamente reimpiegati nel settore presso il Cetme (Centro de estudios técnicos de materiales especiales) ove poterono continuare, con una certa tranquillità, lo sviluppo delle armi a suo tempo iniziato in Germania.
Tra i più noti spicca sicuramente la figura di Ludwig Vorgrimmler che, proseguendo le sperimentazioni attorno al proprio prototipo di Stg 45 (mai adottato), diede il “là” al progetto del successivo fucile d’assalto G3. Non stupisce, infatti, una certa somiglianza tra il G3 e i vari Mp 44 e Fg 42 del tempo di guerra. Successivamente, nei primi anni Cinquanta, il riordinato esercito tedesco, dopo aver provato per un po’ il Fal della Fn nel nuovo calibro di ordinanza Nato (7,62 mm), decise di rivolgersi al G3, dapprima prodotto nella penisola iberica, poi in Germania dalla neonata Heckler und Koch.
Col passare del tempo, continuarono gli studi e le ricerche in materia di armi leggere e, nel 1968, dopo l’enorme interesse suscitato dall’ entrata in servizio del 5,56×45 mm con i fucili M16, basandosi sempre sul glorioso G3, la Heckler und Koch immise sul mercato il primo fucile d’assalto europeo in tale calibro, denominato Hk33 o G33.
Riscosse immediatamente un notevole successo sia tra i corpi di polizia nazionali sia all’estero, divenendo presto ordinanza in Malesia, Cile, Thailandia, Turchia, Grecia, Irlanda, Portogallo e altri.

Dal modello base derivarono una serie di varianti come l’Hk33k (Kurz) con canna di 322 mm, il successivo Hk53 con canna di soli 211 mm, l’Hk33-Sg1 dotato anche di stecher per tiratori scelti nonché una versione aggiornata compatibile con i caricatori Stanag, denominata G41. Quest’ultima, con il marchio Franchi, concorse anche alla gara d’appalto per l’adozione da parte dell’esercito italiano conclusasi poi con l’acquisto del più economico Beretta Ar 70. Nel 1999, la produzione tedesca di Hk33 e relative varianti cessò: la Heckler & Koch, impegnata nello sviluppo e produzione del G36, concesse la licenza di fabbricazione alla turca Mke che già riforniva la gendarmeria e l’esercito nazionale con tali armi.
Mke è oggi una delle maggiori realtà produttive in campo militare della zona europea e, pur non essendo conosciuta al grande pubblico, proprio in virtù del livello qualitativo e quantitativo dei materiali prodotti (dalle maschere antigas ai mezzi blindati passando per armi leggere e pesanti, missili, munizioni, bombe) è da anni conosciuta tra gli addetti ai lavori. Oltre al comparto militare, l’azienda turca vanta anche un’articolata serie di prodotti civili tra cui pistole, fucili, “minirifle” come gli Mp5 civili (T94) e la carabina T43 oggetto della prova, che altro non è che la controparte civile del G33.
Il gusto un po’ retrò dell’estetica dell’arma non deve trarre in inganno: sotto al rustico tripudio di lamiera stampata e saldata, infatti, si annida una delle meccaniche più sofisticate, precise e affascinanti di sempre: la chiusura metastabile a rulli. Anche se lo spunto deriva dalla chiusura a rulli inventata negli anni Trenta da Edward Stecke e successivamente impiegata sulle Mg 42 e Cz 52, la meccanica del T43 – Hk33 ha un principio di funzionamento diametralmente opposto. Nella Mg42, infatti, la chiusura è geometrica a corto rinculo di canna mentre su G3, G33 e la nostra T43, i rulli occorrono per determinare il ritardo d’apertura dell’ otturatore e non una chiusura della culatta vera e propria.

La funzione dei rulli, quindi, è quella di assistere la chiusura a massa fornita dall’otturatore e relativo portaotturatore scomponendo vettorialmente la forza esercitata dal fondello della cartuccia sulla faccia d’otturatore in due componenti reciprocamente ortogonali che si scaricano rispettivamente l’una sulle appendici in culatta fissate alla canna mentre l’altra componente imprime un’accelerazione retrograda al portaotturatore tramite un cuneo interno e ad esso solidale. Tutto ciò è necessario per garantire l’apertura unicamente quando le pressioni in canna siano scese sotto la soglia tollerabile dal bossolo, proprio per evitare l’esplosione dello stesso. In parole povere, con tale meccanica la spinta che le pressioni in canna imprimono sull’otturatore viene demoltiplicata e trasmessa in minima parte al portaotturatore che, debitamente accelerato, trascina la testina dell’otturatore stesso consentendo il completamente del ciclo funzionale dell’arma (estrazione ed espulsione del bossolo, armamento del cane e compressione della molla di recupero).
Il vantaggio di questa particolare meccanica rispetto ai classici sistemi a presa di gas è notevole: minor rilascio di fecce residuali di sparo, minori vibrazioni dovute all’assenza del pistone, possibilità di adottare lunghezze di canna molto contenute, insensibilità alla presenza di acqua (l’arma non necessita di drenaggio), minor rinculo percepito dovuto alle scarse masse in movimento e, a parità di diametro di canna, ottimizzazione della precisione. Quest’ultimo fattore è ben noto agli operatori poiché ancora oggi, a distanza di decenni dalla propria introduzione, nessun fucile semiautomatico militare di pari calibro è stato in grado di superare le prestazioni balistiche degli Hk Psg-1 e Msg in 7,62 mm Nato.
Detto ciò è utile analizzare anche i fattori negativi del sistema: primo fra tutti, la necessità di realizzare le componenti attuanti il ritardo d’apertura con tolleranze strettissime e con materiali di elevatissima qualità, pena il rapido decadimento strutturale e inefficienza del sistema. Secondo, l’impiego di lamiera stampata e saldata rispetto alla più semplice microfusione o forgiatura di leghe di alluminio incide pesantemente sui tempi di fabbricazione. Altra nota dolente risiede nella necessità di dotare la camera di cartuccia di canali di contropressione per evitare l’incollaggio, con conseguente sfondellamento, del bossolo dovuto all’inizio dell’ estrazione primaria in fase di completa dilatazione del bossolo stesso.
Questi fattori, che di per sé rappresentano una raffinatezza meccanica e un pregio oplologico, in ambito militare costituiscono un elemento negativo poiché si ripercuotono pesantemente sul costo di produzione.
Si consideri, infatti, che i costi vivi di fabbricazione di un G33 sono dal 10 al 20 per cento maggiori rispetto agli economici sistemi Ar 15 o Ak 47-74. Oggi giorno, come arma d’ordinanza, è sicuramente superata da modelli meno costosi, che fanno ampio uso di leggeri ed economici materiali sintetici o leghe leggere, ma al collezionista e appassionato cultore di meccanica applicata al settore, non può sfuggire l’eleganza progettuale e realizzativa della Mke T43.
​Come accennato, il fusto, a cui è stabilmente ancorata la canna, è realizzato in lamiera stampata e saldata, sagomata in modo tale da consentire alle nervature laterali di fungere da guide di scorrimento del portaotturatore. Nella parte superiore del fusto si trova una porzione circolare, sovrastante la canna, che termina in prossimità del mirino. Pur sembrando un tubo di presa gas, tale elemento è unicamente deputato ad accogliere la sede di scorrimento della manetta d’ armamento.
In posizione inferiore, invece, è saldato il bocchettone del caricatore con relativi comandi. Il plurale è d’obbligo, in quanto lo sgancio del caricatore è sdoppiato e può essere attuato sia dalla classica leva tipo Ak 47 o Fal Bm 59 sia dal pulsante laterale tipo Ar 15.
L’alimentazione è affidata a caricatori prismatici in lamiera di buona realizzazione e ottima resistenza, con presentazione alternata, della capacità variabile di 20, 25, 30 o 40 colpi (esistono anche drum plastici di 100 colpi). Ovviamente, per ragioni di “pubblica sicurezza”, nel bel Paese l’arma è commercializzata unicamente con corti serbatoi di 5 cartucce.
Caricatore a parte, al fusto è collegato il lower in materiale polimerico contenente il pacchetto di scatto amovibile dedicato al mercato civile, vincolato tramite il perno della leva di sicura. Il tutto è saldamente ancorato alla carcassa da un possente risalto anteriore e dall’attacco posteriore del calcio, a sua volta trattenuto da una spina passante. Una volta montata, l’arma presenta accoppiamenti privi di qualsiasi gioco con upper e lower assemblati graniticamente: quindi, non ballano come su alcuni Ar15!
​Il pacchetto di scatto è amovibile, il che consente una pulizia accurata senza il rischio di far danni ai componenti interni. Tale elemento è comune all’ intera serie small frame civile H&K – Mke, costituita, per l’appunto, da T94 (controparte dell’Mp5) e T43 (G33).
Le qualità dello scatto, pur trattandosi di un elemento appositamente realizzato per il mercato civile, denotano tutta la virile esuberanza dovuta ai natali marziali del progetto.
Il peso richiesto per lo sgancio supera di poco i 2.300 grammi anche se, grazie alla lunga e progressiva corsa, risulta sufficientemente vocato per tiri di precisione. Per contro, la sicurezza d’impiego e la rapidità nel doppiaggio appaiono buoni perdonando, talvolta, l’irruenza del tiratore e consentendo sempre precise e fulminee serie.
Ulteriore tocco di classe risiede nell’espulsore mobile a braccio oscillante fissato al pacchetto di scatto, azionato dall’interazione del portaotturatore in fase d’apertura con la propaggine posteriore del bilanciere. Anche da questo particolare si capisce che i progettisti del G33 hanno fatto di tutto per regalare al mondo armiero un capolavoro di “complicata semplicità” funzionale.
L’intero pacchetto è trattenuto al lower unicamente dal perno di rotazione della sicura manuale. Quest’ultima presenta la leva d’azionamento sul solo lato sinistro, a portata di pollice, mentre sul lato opposto è visibile un indicatore di stato dell’arma. La manetta d’armamento, svincolata dall’otturatore, si trova in posizione avanzata all’incirca a metà canna e durante lo sparo rimane in posizione grazie a un proprio blocco elastico.
È costituita da un tiretto ribaltabile di generosissime dimensioni in materiale plastico che, in posizione di riposo, si trova ribaltato in avanti lungo la propria sede di scorrimento. Durante l’iniziale fase di ribaltamento, grazie a un sistema di leve, consente lo svincolo dei rulli permettendo, insieme al vigoroso estrattore, l’estrazione primaria del bossolo eventualmente incollato. L’assenza di hold open è sopperita dalla manetta stessa che, inserita manualmente in una sede all’uopo sagomata, blocca l’otturatore in posizione di apertura. La chiusura silenziosa dell’otturatore è comunque garantita da un incavo zigrinato con funzione di presa e raccolta di eventuali fecce.

La canna, di lunghezza pari a soli 431 mm (17”), ha profilo conico semipesante ed è ottenuta per martellatura a freddo. La giratura a sei principi ha passo costante destrorso di un giro in 10 pollici (254 mm), come si conviene ai moderni .223. Tale rigatura risulta intermedia tra il corto 1 a 7” (178 mm) o 1 a 8” (203 mm) di recente adozione e il vecchio 1 a 12” (305 mm) dei primi esemplari. Ciò serve a garantire e migliorare la costanza di rendimento con pesi di palla che spaziano dai classici 50 – 55 grani ai 69 grani tipici del munizionamento match. Le prove balistiche, effettivamente, hanno confermato tale duttilità d’impiego evidenziando, al contempo, un’efficiente opera mitigatrice della vampa di bocca a opera del compensatore – spegnifiamma di serie.
La meccanica dell’arma non ricorre a vincoli di canna in posizione avanzata: infatti, la porzione del fusto contenente la manetta d’armamento va a inserirsi all’interno del portamirino fissato alla canna senza con tatto, in modo tale da non creare critici punti di vincolo tra i due elementi.
L’astina risulta ancorata unicamente al prolungamento superiore del fusto e non, come a prima vista si direbbe, alla canna, quindi quest’ultima è di tipo flottante. Il tutto è appurabile rimuovendo il “tappo” posto sotto il mirino. Questa organizzazione determina, quindi, il libero “scorrimento” della canna dovuto alle inevitabili dilatazioni termiche.
In culatta, la canna è vincolata permanentemente al fusto tramite alcuni generosi perni di fissaggio e presenta, inoltre, una barrel extension recante le sedi dei rulli nonché l’ampia rampa d’alimentazione.
La camera di cartuccia, al fine di prevenire fenomeni d’incollaggio del bossolo, è parzialmente solcata da 18 canali di contropressione che, pur lasciando tracce visibili sul bossolo, non ne impediscono la ricarica.
​Gli organi di mira consistono nel classico mirino a palo intercambiabile ben difeso da un anello di protezione e da una tacca regolabile a tamburo mutuata dal G3, con quattro riferimenti pre-tarati alle distanze rispettivamente di 100, 200, 300 e 400 metri.

La taratura di serie è risultata centrata, ma per procedere alla modifica dell’alzo occorre impiegare un apposito strumento. Oltre a ciò, la T43 è predisposta per accettare attacchi a sgancio rapido tipo Hk ovvero Picatinny rail per l’aggancio di ottiche.
La prova di tiro è stata effettuata alla canonica distanza di 100 metri, per l’occasione ho impiegato unicamente cartucce commerciali: Lapua Scenar Hpbt 69 grs Match, Lapua Fmj 55 grs Match, Sellier & Bellot Fmj 55 grs e le economiche Wolf copper Hpbt 62 grs.
Conoscendo la peculiare meccanica dell’arma e l’assenza di giochi del sistema, per consentire un corretto ciclo funzionale, prima di tutto ho provveduto a un’iniziale rodaggio del sistema esplodendo una cinquantina di cartucce ricaricate in modo piuttosto pepato in rapidissima successione.
Dopo questa terapia d’urto ho fatto raffreddare la canna fino a portarla a temperatura ambiente: poi, impiegando le fide S&B, ho voluto saggiare la taratura di fabbrica delle mire metalliche ingaggiando una sagoma “istituzionale”, con appoggio anteriore. Le venti cartucce, esplose sempre in tiro rapido, si sono concentrate nella zona mirata fornendo una rosata d’ampiezza pari a 125 mm da centro a centro.
Sono quindi passato alle Lapua Fmj Match con le quali, in tiro lento mirato utilizzando la diottra per i 200 metri, mirando alla base del barilotto di un bersaglio tipo Uits, con 2 serie di 5 colpi, ho conseguito un punteggio di ben 96 su 100.
Non pago, ho installato un’ottica Burris 3-9×40 sul granitico attacco Armalite fissato a sua volta sul rail precedentemente applicato e, dopo qualche colpo di taratura effettuato con le “debolucce” Wolf, sono passato a una più probante prova di rosata.

Indubbio è che le costose Lapua Scenar valgono il prezzo pagato. Con esse, infatti, ho raggruppato 5 colpi in meno di 30 mm (un moa), mentre le Fmj Match finniche, anch’esse a proprio agio con la corta canna, hanno sforacchiato il bersaglio con una dispersione, da centro a centro, pari a 35 mm. Non male anche le Sellier & Bellot che, con 36 mm di rosata, si sono rivelate piuttosto costanti. Le economiche cartucce russe hanno, invece, verticalizzato una rosata di circa 3 moa d’ampiezza.
Percussione ed espulsione sono risultati all’altezza dell’arma, non creando il minimo problema e risultando esenti da anomalie, mentre l’ergonomia di calcio, impugnatura e astina sono risultati perfetti per tiratori di statura medio-alta.
Il rilevamento è praticamente inesistente mentre il rinculo, grazie alle ridotte masse in movimento, appare veramente minimo. Come tutti i prodotti H&K-Mke l’affidabilità, dopo un breve periodo di rodaggio, è assoluta. La particolare architettura meccanica dell’arma rende il T43 un’arma sui generis in quanto, discostandosi sia esteticamente sia meccanicamente dalle consuete carabine system Colt potrebbe, ingiustificatamente, comportare una certa diffidenza del pubblico verso un prodotto a metà strada tra un’Ex ordinanza e un moderno assault rifle. Qualitativamente il .223 della Mke non teme critiche: inoltre, adottando i vari accessori come rail e calci retrattili comuni alla famiglia G33 – Mp5, la carabina turca potrà presto diventare un temibile rivale per i vari tactical rifle tanto di moda.

​L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – agosto 2009

Produttore: Mke, www.mkek.gov.tr, mkek@mkek.gov.tr
Importatore: Guns trade srl; administrative office, via Cagliari 6, 42100 Reggio Emilia; show room, via Veloci 4, 42049 Sant’Ilario d’Enza (Re), tel. e fax 0522.67.18.15, www.gunstrade.com, info@gunstrade.it
Tipo: carabina semiautomatica con ritardo d’apertura a rulli (chiusura metastabile)
Modello: T43 Calibro: .223 Remington
Caricatore: in acciaio, bifilare a presentazione alternata capace di 5 cartucce Impiego specifico: collezione, tiro di precisione e tiro sportivo informale
Scatto: singola azione (semi roll-over, peso 2.500 grammi) con pacchetto estraibile
Sicura: manuale a leva sul lato sinistro del fusto
Canna: profilo semipesante, martellata a freddo lunga 431 mm, 6 righe destrorse con passo di 1 a 10” (254 mm)
Mire: tacca regolabile a tamburo con 4 riferimenti, mirino a palo intercambiabile
Lunghezza della linea di mira: 455 mm
Lunghezza totale: 965 mm
Peso: 3.900 grammi scarica
Materiali: upper, canna e carrello in acciaio, lower in tecnopolimeri rinforzati
Finitura: Mil-spec; upper fosfatato e verniciato a caldo nero, polimeri neri con finitura antiriflesso Numero di catalogo: 17.871 (arma sportiva)