Usa: solo le “armi facili” la causa dei mass shooting?

I mass shooting sono causati esclusivamente dall’accesso facile alle armi negli Stati Uniti. È questo il vero e proprio mantra che si è scatenato in queste ore in tutto il mondo, dopo l’efferata strage perpetrata da un diciottenne in una scuola del Texas, con 19 bambini e due adulti uccisi. Il mantra viene ripetuto in particolare dalla politica e dagli esponenti di spicco della società statunitense (principalmente di area democratica), che adesso più che mai spingono per un giro di vite sostanziale sulla normativa in materia di legale detenzione di armi, come unico antidoto alle stragi. Ma le cose, stanno davvero così? Come accade spesso a tutti i grandi temi dell’attualità, in realtà la situazione è molto più complessa rispetto a una posizione manichea (e superficiale) sul “sì” oppure “no” ed è il caso di evidenziare alcuni spunti critici sottolineati dalle associazioni che da anni si occupano di monitorare e analizzare il fenomeno dei mass shooting negli Stati Uniti.

Partiamo dal principio: che cos’è un mass shooting? Con questo termine, generalmente, si intende un evento nel quale si registra la morte violenta, nell’ambito di una medesima azione, di quattro o più persone, incluso eventualmente l’omicida stesso. Mediamente, negli Stati Uniti se ne verificano 20 all’anno.

È facile, negli Stati Uniti, acquistare un’arma? In rapporto alla normativa vigente nei principali Paesi europei, la risposta è senz’altro sì, e di gran lunga. Ciò non significa, tuttavia, che non vengano svolti controlli, peraltro a fronte di una base minima comune a livello federale per quanto riguarda la normativa in materia di armi, sono poi i singoli 50 Stati ad avere specifiche norme, diversissime tra loro. Ciò premesso, esistono alcune lacune normative che viste con l’occhio del giurista europeo appaiono semplicemente incredibili: una di queste, per esempio, è quella che obbliga alla verifica dei motivi ostativi all’acquisto sul database federale chiunque voglia acquistare un’arma in una armeria (mediante il cosiddetto Nics, o Background check), ma non prevede in molti Stati dell’Unione analogo obbligo per chi acquisti un’arma da un privato. Esistono, è vero, d’altro canto pene severe per chi venda un’arma a un soggetto che sa essere nella condizione di non poterne acquistare una legalmente in armeria, ma questo non funge da sufficiente deterrente.

Quindi tutti gli autori di mass shooting avevano ottenuto l’arma legalmente? In realtà, no: secondo le fonti riportate dall’associazione Everytown for gun safety, un attentatore su tre era nella condizione di non poter acquistare legalmente un’arma, quindi aveva precedenti penali, o una dichiarazione giudiziale di malattia mentale, o precedenti per violenza domestica eccetera, che gli precludevano la possibilità di acquistare un’arma legalmente.

Gli Stati nei quali si verifica il maggior numero dei mass shooting, sono quindi quelli con una normativa più liberale in materia di armi? La risposta è, sorprendentemente, no. A guidare la classifica dei mass shooting, con un evidente (e terribile) vantaggio sul secondo classificato, è infatti lo Stato americano con la normativa in assoluto più restrittiva in materia di armi e specialmente in materia di “armi d’assalto” o black rifle e di caricatori ad alta capacità, cioè la California. Tra il 1982 e il 2022 infatti, nello Stato americano si sono verificati 23 eventi, contro i 12 a pari merito per gli Stati secondo e terzo classificato, cioè Florida e Texas. È interessante notare che un altro degli Stati con la normativa più restrittiva, cioè quello di New York, si trova comunque decisamente in alto nella classifica, cioè in ottava posizione, su 50 Stati. È interessante notare anche che uno degli Stati fanalino di coda della statistica, con 1 solo mass shooting verificatosi dal 1982 a oggi, è l’Oklahoma, Stato nel quale vige la possibilità di portare armi in modo manifesto (cosiddetto “open carry”) senza una specifica licenza, esattamente come in Texas.

I mass shooting necessitano, per essere perpetrati, di disporre di un’arma “d’assalto” con caricatore ad alta capacità? La risposta a questa domanda è “no”, ma i numeri associati sono forse il risultato più sorprendente: l’81 per cento dei mass shooting commessi tra il 2009 e il 2022 ha visto l’impiego di una pistola e solo il 16 per cento ha visto coinvolta una carabina “d’assalto” (o black rifle). Per la percentuale restante, non erano disponibili informazioni circa le armi utilizzate. I caricatori ad alta capacità sono stati utilizzati solo per il 55 per cento dei mass shooting. Va anche detto che, comunque, nei casi in cui sono stati utilizzati black rifle con caricatori ad alta capacità, la mortalità è stata mediamente superiore per singolo evento.

Gli autori dei mass shooting, sono insospettabili? Anche in questo caso la risposta è “no” ed è sorprendente constatare, sempre secondo i dati forniti da Everytown for gun safety, che ben nel 56 per cento dei casi analizzati tra il 2009 e il 2022 l’autore di un mass shooting aveva evidenziato segnali premonitori prima dell’attentato, come violazioni di ordini restrittivi o commissione di altri atti di violenza o minaccia. Segnali che, evidentemente, sono stati sottovalutati o non hanno portato a misure restrittive della libertà personale.

Quindi?
Il primo elemento di valutazione che emerge da questi dati è che la campagna ostile portata avanti dal partito democratico (fin dai tempi di Clinton) nei confronti delle armi “d’assalto” e dei caricatori ad alta capacità rischia di essere un colossale specchietto per le allodole, riguardo all’efficacia preventiva sui mass shooting. I quali, è altrettanto palese, trovano un humus fertile in particolare nella società statunitense, ma anche in quegli Stati dell’Unione che hanno già una normativa restrittiva, inclusiva di tutte le norme che il presidente Joe Biden vorrebbe introdurre a livello federale, come la California. È quindi evidente che a determinare il verificarsi di queste stragi non basta attribuire la responsabilità alla mera disponibilità di armi, bensì entrano in gioco altri elementi che sono di tipo (dis)educativo, sociale, religioso, e che hanno a che fare proprio con il modello sociale del “sogno americano”. Sogno che, sempre più spesso, si trasforma in un incubo, sotto forma di una competizione sfrenata verso la vetta della società, dove si può accedere a tutto ciò che si possa desiderare (denaro, tutela sanitaria, istruzione eccetera), mentre a chi fallisce la corsa non resta che accontentarsi delle briciole, con in più il disprezzo generale e la derisione del proprio gruppo sociale (i coetanei, i colleghi studenti, i colleghi di lavoro eccetera). Una vera e propria bomba a orologeria sociale che in molti, moltissimi casi trova sfogo verso l’interno del soggetto critico, con fenomeni di autolesionismo, suicidio, emarginazione. In altri casi, purtroppo, lo sfogo è verso l’esterno, cioè verso quella società che viene vista come colpevole dell’emarginazione e che, nel disegno allucinatorio, deve essere colpita anche a costo della vita.

Il sospetto è, purtroppo, che la polarizzazione del dibattito focalizzata esclusivamente sulle armi da fuoco, che siano “d’assalto” o meno, possa servire alla politica come comodo capro espiatorio per evitare di dover mettere in discussione e in dubbio il “modello” americano, operazione che risulta a prima vista impossibile da svolgere in una società che, anche attraverso il cinema, ha propalato in questi anni il proprio modello sociale come il meglio che fosse disponibile al mondo.