Usa: le fabbriche d’armi fuggono dagli Stati a guida Dem

La tendenza delle aziende produttrici di armi statunitensi a traslocare dagli Stati a guida Democratica, per approdare a quelli a guida Repubblicana, è ormai in atto da tempo. Tra nomi grandi e piccoli (uno dei più eclatanti ad aver annunciato la mossa è stata Smith & Wesson lo scorso autunno), il fenomeno comincia ad avere un certo impatto in termini di posti di lavoro e fatturato, tanto che persino il Washington post ha deciso di dedicare un articolo all’argomento.

Secondo il Post, negli ultimi anni sono state almeno 20 le aziende armiere statunitensi ad aver cambiato casa, passando da Stati a guida Dem a favore di Stati a guida repubblicana. Alla base della scelta c’è da un lato la crescente ostilità delle amministrazioni Dem in merito alle armi da fuoco, con l’approvazione di norme restrittive non solo sull’acquisto e sul porto ma anche sulle attività produttive connesse. D’altro canto gli Stati a guida repubblicana, oltre ad avere una normativa meno restrittiva, stanno facendo letteralmente ponti d’oro a tali aziende per agevolare il trasferimento, sotto forma di sgravi fiscali, contributi a fondo perduto e altre agevolazioni volte a contenere il costo della manodopera. Il baricentro del distretto armiero statunitense si sta così, progressivamente, spostando verso gli Stati del Sud e marginalmente dell’Ovest, laddove invece molte storiche aziende risiedevano nel Nordest fin dai tempi della rivoluzione americana o della guerra civile.

Tra le aziende che hanno spostato armi (è il caso di dirlo) e bagagli figurano per esempio Beretta, trasferitasi dal Maryland al Tennessee; Mossberg, passata dal Connecticut al Texas; Magpul, passata dal Colorado al Texas e al Wyoming; Stag arms, sempre dal Connecticut al Wyoming; Kimber, dallo Stato di New York all’Alabama; Smith & Wesson, dal Massachusetts al Tennessee; Remington, da New York alla Georgia. Quest’ultima, in particolare, ha annunciato un investimento di 100 milioni di dollari e l’assunzione di 856 persone, iniziative alle quali la Georgia ha risposto con 28 milioni di dollari tra sovvenzioni e agevolazioni fiscali.

La tendenza è ormai talmente “istituzionalizzata” che, secondo quanto riportato dalla Nssf (l’associazione di categoria che riunisce i produttori e i venditori di armi per caccia e sport), ben 6 governatori repubblicani di altrettanti Stati si sono recati all’ultima edizione dello Shot show, proprio per studiare forme di collaborazione con le aziende produttrici.

L’articolo del Washington post conclude con la considerazione che, se il comparto armiero non ha una importanza enorme nel quadro dell’economia generale degli Stati Uniti, ha comunque un forte valore simbolico e, complici anche gli anni record di vendite del 2020 e 2021 (con rispettivamente, si stima, 23 milioni e 19,9 milioni di armi vendute), vanta una crescita sia in termini di valore della produzione e fatturato, sia in termini di occupazione. Quest’ultima è, secondo la Nssf, di quasi 170 mila addetti, con un incremento del 28 per cento tra il 2015 e il 2021.