Treviglio: l’assassina e il giallo surreale del porto d’armi

Cominciano a filtrare alcune informazioni più circostanziate sulla tragedia della follia avvenuta a Treviglio (Bg), dove una signora di 71 anni, ossessionata da presunte diatribe tra vicini, ha impugnato una pistola, freddato il vicino di casa e ferito gravemente la moglie di lui.

In particolare, sembra che la signora, evidentemente in preda a una vera e propria spirale schizofrenica in atto da alcuni mesi, oltre a un crescendo di litigi con la coppia di vicini, avesse anche già effettuato una aggressione alcuni mesi fa, con un bastone. Aggressione alla quale era seguita una denuncia ai carabineri.

Ed è qui che, secondo quanto riportano alcuni quotidiani di informazione, la questione si fa grottesca: secondo la ricostruzione, infatti, la persona che sporse denuncia riportò correttamente il cognome dell’aggressore, ma non il nome. Da qui, incredibilmente, l’autorità di pubblica sicurezza non ebbe alcun esito in merito ai controlli incrociati con la banca dati centrale per sapere se la signora avesse armi legalmente detenute che, conseguentemente, non furono mai sequestrate.

La domanda da porsi, ammesso che le cose stiano come rappresentato dai media generalisti, è la seguente: possibile? Possibile che siamo messi così male con le nostre forze dell’ordine che un cittadino possa sporgere denuncia nei confronti di “paperino” e non si cerchi un riscontro su chi questo paperino sia? Se parliamo di una aggressione intervenuta in termini di vicinato, non era proprio possibile fare un sopralluogo sul posto (il quale era senz’altro noto, per antonomasia, essendo adiacente al luogo di dimora della vittima), prendere i documenti alla signora fuori di testa, identificarla con precisione e intanto dare un’occhiatina alla casa? Sentiamo con cadenza quasi quotidiana di legali possessori di armi ai quali vengono ritirate le medesime e rivoltata la casa come un calzino, semplicemente perché hanno starnutito controvento: è quindi possibile che di fronte a un’aggressione nessuno sia andato sul posto a verificare come stessero le cose? È possibile che nessuno abbia verificato che a una persona con quel nome (sbagliato, a questo punto) e quel cognome non corrispondeva alcuna persona residente in quel luogo? La questione appare tanto più incredibile se si dà credito sempre a quanto riportato dagli organi di informazione, secondo i quali in realtà le forze dell’ordine intervennero sul posto nell’immediatezza e poi la denuncia fu formalizzata in un secondo momento in caserma.

La circostanza è tanto più grave se si considera che non sembra essere un caso isolato: anche in occasione di una strage famigliare perpetrata a Licata, sembra infatti che le forze dell’ordine fossero intervenute numerose volte per sedare contrasti famigliari ma nessuno si fosse preoccupato di accertare la disponibilità di armi legalmente detenute e ritirarle.

La normativa in materia di armi, in Italia, prevede una serie di strumenti molto efficaci per intervenire tempestivamente in questo tipo di situazioni, revocando le autorizzazioni di polizia e sequestrando le armi. L’efficacia di queste misure è tuttavia subordinata a una premessa fondamentale, costituita dal fatto che chi è preposto alla tutela della pubblica incolumità, utilizzi gli strumenti a sua disposizione per intervenire quando è il momento di farlo. Il discorso è a maggior ragione valido per le misure ancor più draconiane che gli anti-armi vorrebbero introdurre con periodici quanto superficiali disegni di legge: che senso ha moltiplicare a dismisura oneri, controlli, verifiche, dichiarazioni, balzelli SE POI NESSUNO CONTROLLA QUANTO AVVIENE SUL TERRITORIO?

Attendiamo gli ulteriori sviluppi della vicenda.