Strage famigliare a Licata: perché aveva la pistola?

È in fin di vita all’ospedale di Caltanissetta Angelo Tardino, 48 anni, l’uomo che poche ore fa a Licata, nell’agrigentino, ha ucciso il proprio fratello Diego, di 45 anni, la cognata e i due nipoti di 15 e 11 anni, per poi rivolgere l’arma contro sé stesso. Alla base dell’insano gesto, secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, dissidi legati a una divisione ereditaria in particolare per alcuni terreni nei quali la famiglia gestiva una azienda agricola specializzata nella coltivazione dei carciofi. Secondo quanto si apprende dalle fonti giornalistiche disponibili, la pistola utilizzata per la strage era regolarmente detenuta ma, ed è l’aspetto più incredibile e scandaloso della vicenda, sembra che gli stessi carabinieri che sono intervenuti per il macabro bilancio, abbiano confermato che erano già intervenuti più volte per sedare le violente liti intercorse tra i due fratelli.

Prima, quindi, che si scateni il solito coro di sciacalli della politica e dell’informazione che chiede a gran voce norme più stringenti in materia di possesso legale di armi, è necessario sottolineare che già con l’attuale normativa l’autore di questo inqualificabile gesto non avrebbe dovuto essere più legalmente in possesso di alcuna arma, proprio perché secondo quanto stabilito dal Tulps, nel momento in cui l’autorità viene a sapere che un soggetto detentore di armi non dà la più completa affidabilità circa il loro uso (come appunto può accadere nel caso di liti violente con vicini di casa, parenti eccetera), ha non solo la facoltà ma anche il dovere di togliere le armi al soggetto (secondo quanto previsto dall’articolo 39 Tulps) per evitare proprio il verificarsi di questi fatti.

A questo punto, se le prime indiscrezioni troveranno conferma, oltre a ricostruire l’intera vicenda nei proprio contorni, le autorità dovranno chiarire come mai il soggetto fosse ancora in possesso legalmente di armi a fronte di situazioni nelle quali era palese la sua verosimile attitudine ad abusarne ma, soprattutto, l’autorità di pubblica sicurezza aveva piena conoscenza della situazione.