Rimini e Torino, denominatore comune il coltello

L’11 settembre un somalo di 26 anni ha reagito alla richiesta di esibire il biglietto dell’autobus su cui viaggiava estraendo un coltello e menando fendenti con una ferocia tale da ferire prima i due controllori nei quali si era imbattuto e poi, una volta sceso dall’autobus, altre 3 persone, raggiungendo un bambino di 6 anni alla carotide, ricoverato in gravi condizioni e per fortuna ora fuori pericolo. Nelle ore successive è emerso che l’aggressore si trovava da due mesi su suolo italiano, che portava con sé 5 coltelli da bistecca e un paio di forbici e che avrebbe dichiarato di essere sotto l’effetto della cocaina al momento del suo gesto. Due giorni dopo, il 13 settembre a Torino un nigeriano ha, sembra inspiegabilmente, aggredito a calci e pugni un ragazzo in attesa alla fermata di un autobus. Rintracciato dalle forze dell’ordine, gli sarebbe stato trovato addosso un coltello da cucina di 20 cm.

Il coltello è sempre letale e non ha bisogno di licenze
Ancora una volta, che si tratti di aggressioni da parte di soggetti poco stabili psichicamente, di fatti di delinquenza comune o ancora di terrorismo, il coltello si rivela essere il più insidioso tra gli strumenti. È facilissimo da reperire, presenta un costo irrisorio (tanto che in più di un caso di attacco terroristico a mezzo del coltello, l’attentatore lo ha addirittura rubato nel centro commerciale nel quale ha poi compiuto il suo attacco, di fatto compiuto a costo zero) e non richiede nei fatti alcuna particolare perizia tecnica per essere mortalmente efficace. Per contro, è pressoché impossibile da difendere, tanto da spingere le persone più esperte e avvedute a parlare di tentativi di sopravvivenza ai primi attacchi di coltello, piuttosto che di una vera e propria possibilità di difesa, posto che nelle mani di persone esperte nel suo utilizzo si rivela uno strumento addirittura pressoché indifendibile.

Trasporti, sanità e grande distribuzione sono i più esposti
In effetti, negli ultimi anni stiamo assistendo ad un incremento vertiginoso dell’aggressività media nei rapporti di tutti i giorni, specie nei confronti di interlocutori dai quali si pretende una prestazione.
È così che, al fianco della elevata aggressività di chi è aggressivo lo è sempre stato di suo, anche gli utenti medi e normalmente poco inclini alla aggressività nei confronti altrui mostrano una tendenza a lasciarsi andare ad atteggiamenti aggressivi, verbali ma anche fisici, decisamente superiore a quanto eravamo abituati a riscontrare in passato, anche in assenza di cause scatenanti specifiche o particolari fattori di stress.
Non per nulla, in molti settori è ormai mappato a pieno titolo il rischio di subire aggressioni tra i rischi specifici cui è esposto il lavoratore, ovviamente con riferimento a chi si trova per mestiere a contatto con l’utenza, tanto da trovare ormai più di un datore di lavoro illuminato a tal punto da fornire formazione al proprio personale su come riconoscere e gestire le escalation di aggressività in loro danno, fornendo gli strumenti indispensabili per gestire moti aggressivi tanto verbali quanto fisici, ovviamente quale a strumento di autoprotezione in extrema ratio. La grande distribuzione, le strutture sanitarie e il sistema dei trasporti sono in questo senso in prima linea nella esposizione del personale al rischio di subire aggressioni. Analisi a parte merita la provenienza degli autori delle aggressioni di questi giorni.

La sicurezza urbana e Il problema etnico
Abbiamo assistito negli ultimi anni a un ininterrotto flusso migratorio proveniente dai paesi della Sud del pianeta. Non è superfluo osservare come, nei paesi vicino ed estremo orientali così come in Africa, le condizioni di vita e sociali in cui si trova la stragrande maggioranza della popolazione siano connotate tutt’ora da un ricorso alla violenza nella gestione dei rapporti quotidiani decisamente più facile rispetto alle abitudini dei Paesi occidentali. È chiaro che il ricorso a strumenti , anche improvvisati, da impatto o da taglio risulta istintivo e abituale in quei luoghi e aumenta esponenzialmente la capacità offensiva di ogni gesto aggressivo. Riguardo agli incontrollati flussi migratori meritano poi un cenno da un lato, l’impossibilità di operare uno screening degli immigrati in ingresso e dall’altro l’oggettiva impossibilità di offrire concrete soluzioni di vita a chi ha ottenuto un titolo per permanere sul suolo, circostanze che stanno avendo e certamente avranno un impatto forte sulla sicurezza, in particolare delle grandi aree metropolitane.

Quanto alla impossibilità di avere accesso a un’abitazione dignitosa e a un modo legittimo di sostentamento, è fattore da sempre noto presso gli studiosi del fenomeno criminale, a fianco alla delusione discendente dall’aver ricevuto promesse di aiuto e integrazione poi nei fatti mai mantenute. I sistemi-Paese che hanno approcciato questo fenomeno prima dell’Italia ne sono un chiaro esempio a partire dalla Francia, verso la quale si sono da sempre riversati un numero incredibile di soggetti provenienti dalle ex colonie ai quali la madrepatria non è mai stata in grado di mantenere le promesse di benessere a suo tempo fatte, con l’unico risultato di essersi ritrovata enormi aree urbane abitate da una quantità incredibile di persone sulle quali lo Stato non riesce a esercitare la sua autorità, a causa del profondo scollamento con le istituzioni che queste persone inevitabilmente hanno sviluppato. Per quanto riguarda, invece, la possibilità di operare uno screening all’interno del grande numero di soggetti riversatisi in Italia negli ultimi anni, non c’è da stupirsi se tra questi vi sia la presenza anche di soggetti a forte tendenza delinquenziale o addirittura terroristica.

Cosa è terrorismo e cosa no?
È indispensabile partire dalla definizione di terrorismo, non sempre facile né intuitiva, che suggerisce di non identificare il terrorismo nelle modalità delle sue azioni, ma piuttosto nelle motivazioni e nella capacità dei gesti di concorrere al raggiungimento dello scopo. Lo scopo del terrorismo, poi, si riassume nel generare terrore incontrollato fino a determinare una diffusa sfiducia nelle istituzioni e addirittura nel modello di società e di vita, così che ne possa essere imposto o indotto un altro. In questo senso, concorre allo scopo qualsiasi gesto che sia in grado di seminare il terrore e nell’epoca di internet le principali organizzazioni terroristiche si sono ben presto rese conto che non era più necessario ricorrere esclusivamente ad azioni eclatanti, che per questo richiedono organizzazione, preparazione, mezzi e denari, ma in molti casi è sufficiente anche un gesto di portata decisamente inferiore purché sia in grado di impressionare molte persone. Gli attacchi con il coltello e la brutalità dei loro effetti sono senz’altro raccapriccianti e in grado di impressionare una persona mediamente sensata e la possibilità di far circolare in tutto il mondo con un click quella informazione, se non addirittura quelle immagini, estende l’effetto raccapricciante a livello praticamente mondiale.
Lo sa bene, per esempio, Isis che già da molti anni tramite le sue pubblicazioni incita ad agire con il coltello, addirittura suggerendo come scegliere quello giusto, come scegliere la situazione più proficua e divulgando persino le tecniche di impiego migliori.

La rivoluzione copernicana del terrorismo di questo tipo, però, è che ad agire non sono più solo persone votate alla causa terroristica e in contatto concreto con le organizzazioni terroristiche, ma persone che possono non avere alcun legame, nemmeno distanza, con le organizzazioni incitanti. Si è verificato più di un caso di soggetti auto-radicalizzatisi tramite l’adesione spontanea e autonoma al messaggio terroristico divulgato sul web e che poi sono passati concretamente all’azione con gesti che senza dubbio perseguono la causa delle grosse organizzazioni terroristiche, che incassano il risultato positivo, ringraziano e per giunta non corrono nessun rischio di essere coinvolte e di vedersi smantellare le proprie reti, poiché non hanno mai avuto alcun legame con il singolo attentatore del caso.

Nel caso del somalo dei fatti di Rimini, il Viminale si è affrettato ad escludere categoricamente la pista terroristica. Resta il fatto che, stando alla cronaca, le analisi effettuate non abbiano riscontrato alcuna traccia di stupefacente, che le cinque persone aggredite fossero tutte donne, che il suo gesto sia arrivato proprio il giorno 11 settembre (nel rispetto delle ricorrenze simboliche tanto care ad ogni organizzazione terroristica) e che per giunta l’autobus sul quale avrebbe iniziato la sua azione fosse in circolazione sulla linea 11…

Comunque sia, terrorismo o no, la cronaca sempre più spesso ci parla di un ricorso troppo facile all’uso del coltello e di come anche il nostro Paese stia vivendo una velocissima quanto profonda trasformazione, anche nella gestione di tutti i rapporti quotidiani e sicuramente sotto il profilo della sicurezza.
Noi che, per giunta, della Francia non abbiamo mai avuto né le colonie né tutti i conseguenti benefici immaginabili…