Polizie locali, arrivano numero unico e armi per tutti

Armi in dotazione, numero unico nazionale, lavoro fianco a fianco con polizia e carabinieri, coordinamento regionale e contratto ad hoc. Sono i piatti principali nel menu della riforma della polizia locale, che prova a tornare in alto nell’agenda politica con l’unificazione dei disegni di legge sul tema, che dovrebbe garantire al progetto una navigazione parlamentare più spedita

Armi in dotazione, numero unico nazionale, lavoro fianco a fianco con polizia e carabinieri, coordinamento regionale e contratto ad hoc.
Sono i piatti principali nel menu della riforma della polizia locale, che prova a tornare in alto nell’agenda politica con l’unificazione dei disegni di legge sul tema, che dovrebbe garantire al progetto una navigazione parlamentare più spedita. Licenziata la riforma del codice della strada, come dovrebbe avvenire nel giro di poche settimane, potrebbe essere la volta buona anche per far cessare l’attesa infinita degli ex vigili urbani; i pacchetti sicurezza varati dal governo nel 2008 e 2009, che hanno messo la polizia dei sindaci in prima fila nel garantire la «sicurezza integrata», hanno creato le condizioni giuste, e lo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni ha dichiarato che è venuto il momento di mettere mano alla nuova legge e che la via intrapresa in parlamento è quella giusta.
Il progetto unificato e bipartisan (i relatori al senato sono Maurizio Saia del Pdl e Giuliano Barbolini del Pd) punta tutto sull’integrazione degli ex vigili con le altre forze di polizia, all’interno di un’organizzazione regolata a livello regionale.
Per facilitare i cittadini, poi, è previsto un numero unico nazionale, che a seconda del territorio da cui è chiamato collega alle sale operative delle varie città. Saranno le regioni a disciplinare la costituzione dei vari corpi, con un incentivo alla gestione associata nelle realtà più piccole perché per avviare un corpo saranno necessari almeno 15 addetti, escluso il comandante. Se i comuni non metteranno insieme le proprie forze, il servizio potrà passare alla provincia (in accordo con i sindaci interessati).
Il progetto di legge fa di tutto per superare la sensazione di essere “ramo cadetto” nutrita dai poliziotti locali, a causa di una normativa superata dalle evoluzioni di questi anni. Per farlo, la proposta apre con decisione a un tema a forte rischio polemiche come la dotazione di armi, finora lasciata alle scelte locali. Il testo sancisce infatti che i poliziotti locali «portano le armi», prima di tutto nel territorio dell’ente, e incarica il Viminale di stabilire con regolamento numero, tipologia delle armi, modalità di tenuta e custodia e i casi di divieto.
Sulla scorta dei «pacchetti sicurezza» varati nei primi due anni di legislatura, la riforma punta le proprie carte sull’alleanza delle divise locali fra loro e con le altre forze di polizia. Le sinergie devono essere costruite in tavoli paritari fra amministrazioni locali e prefetture, e devono fondarsi sull’interconnessione delle sale operative e delle banche dati; tutto sta a definire i confini di queste integrazioni, perché i database di polizia e carabinieri contengono informazioni delicatissime che richiedono un controllo costante sugli accessi. Anche le strategie e i piani di intervento dovranno coinvolgere in modo coordinato poliziotti locali e non, che avranno in comune anche attività di formazione. Un ruolo di primo piano nella definizione dei nuovi assetti degli ex vigili urbani è affidato alle regioni, che dovranno sovrintendere alle gestioni associate e dettare disposizioni univoche anche su uniformi, gradi e distintivi, superando la frammentazione attuale.
Se la riforma arriverà senza troppe modifiche alla Gazzetta Ufficiale, i poliziotti municipali dovrebbero trovare anche un comparto dedicato per le nuove tornate contrattuali; una soluzione che permetterebbe di disegnare una disciplina ad hoc per retribuzione e indennità, senza dover stiracchiare i contratti pensati per i “normali” dipendenti dei comuni, ma che sembra contrastare con la riduzione dei comparti pubblici tentata, non senza fatica, dalla riforma Brunetta.