Meno burocrazia (aggiunta) sull’export di armi

In Regione la proposta firmata dal centrodestra per ridurre il peso burocratico sulle imprese armiere lombarde, che sta ostacolando l’export

La vicenda è nota. Il ministero dell'Interno si è inventato una circolare, che per definire l'ambito di applicazione del regolamento dell'Unione europea n° 258 del 2012 sull'esportazione di armi, ha gettato i produttori nella disperazione. L’ennesimo “regalo” della burocrazia a un Paese in ginocchio. Almeno due mesi di passione con le armi pronte da spedire in magazzino, per colpa di questa “Autorità nazionale per il controllo delle esportazioni delle armi da fuoco a uso civile, loro parti e componenti essenziali e munizioni” (Ance), che dovrà occuparsi dei rapporti con i Paesi comunitari e gli altri Paesi esteri, le istituzioni comunitarie e le rappresentanze diplomatiche italiane all'estero. Solo che l’agenzia non c’è, non è mai stata nominata, non si è mai insediata.

I politici lombardi hanno raccolto il grido di allarme e dolore della aziende del Bresciano e hanno preparato una mozione per chiedere alle istituzioni locali di fare opera di pressing sul governo per non recepire il regolamento comunitario che disciplina (in modo inutilmente restrittivo) il commercio di pistole e fucili sportivi e per caccia.

Il testo sarà discusso (e probabilmente approvato) martedì prossimo alla ripresa dei lavori d’aula dopo la pausa invernale. Porta la firma di tutti i gruppi della maggioranza di centrodestra (il primo proponente è il leghista bresciano Fabio Rolfi, nella foto) e ha trovato l’isolata adesione anche di un consigliere del Pd, Corrado Tomasi.

La mozione del Pirellone chiede di modificare proprio la normativa che recepirebbe in automatico il regolamento dettato da Bruxelles per ridurre “il gravame burocratico sulle imprese armiere lombarde che sta ostacolando l’attività di export con gravi danni economici che rischiano di compromettere la produzione eil bacino occupazionale”. La richiesta muove da una serie di premesse. Il 90 per cento della produzione di armi italiane – scrivono i consiglieri – è destinato all’esportazione; il settore può contare su un fatturato di 250 milioni, 108 imprese, e più di tremila addetti concentrati in Val Trompia. Il problema allora arriva dagli euroburocrati. La già complessa istruttoria aziendale delle pratiche è passata dalle 16 pagine alle attuali 86, caricando di ulteriore lavoro gli uffici delle questure e del ministero. Non solo: "In altri Stati europei l’applicazione del regolamento Ue pare non sia stata così immediata e restrittiva, aumentando di fatto il grado di disparità del trattamento delle imprese armiere all’interno dell’Ue".