Legittima difesa: una prima lettura critica

Dopo la pubblicazione del testo integrale della riforma sulla legittima difesa approvata la settimana scorsa alla Camera, ecco come risultano modificati gli articoli del codice penale e, soprattutto, come le cose NON cambiano
L’articolo 52 del codice penale risulta modificato dalle parole messe in neretto:

Non è punibile che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa.
Fermo restando quanto previsto dal primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o sulle cose ovvero con minaccia o con inganno.
Nei casi di cui al secondo comma sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) La propria o la altrui incolumità;
b) I beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
Le disposizioni di cui al secondo e al terzo comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

La norma votata alla Camera, quindi, ha introdotto innanzi tutto un comma che introduce una presunzione di legittimità della difesa nel caso di violazione di domicilio (art. 614 c.p.). Tuttavia, la violazione del domicilio di per sé non è sufficiente a giustificare la reazione: deve, infatti, verificarsi una aggressione. E qui sta anche il principale problema interpretativo, nel senso che la norma proposta da Pd e Ap ha inteso differenziare formalmente tra l’aggressione compiuta “in tempo di notte” dalla “reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi con violenza alle persone o sulle cose ovvero con minaccia o con inganno”. Da quanto esposto, risulta piuttosto evidente che anche le previsioni contenute nella seconda parte di questo nuovo comma si traducono, in realtà, in una “aggressione” (visto che si parla di violenza alle persone o minaccia) e, quindi, rendono pressoché inutile la distinzione tra notte e giorno che diventa, a questo punto, solo un orpello giuridico ridicolo. Fermo restando che dalla lettura dell’articolo 614 si ricava che, in pratica, le circostanze previste da questo comma sono le medesime previste per il reato, appunto, della violazione di domicilio. Quindi, se è sufficiente la violazione di domicilio di per sé a giustificare la reazione, perché non dirlo chiaro e tondo? E a questo punto, che cosa c’entra la notte?
I politici della Camera hanno, inoltre, conservato anche il vecchio secondo comma dell’articolo 52 (che adesso è diventato il terzo), quello che fu aggiunto nel 2006, che però a questo punto rappresenta poco più di una confusa ripetizione di quanto espresso nel comma precedente, aumentando soltanto i problemi interpretativi. La riforma del 2006, tra l’altro, di per sé non era comunque esente da limiti evidenti, soprattutto quando nel caso “b” prevede che per giustificare la difesa dei beni sia necessario che il ladro “non desista” e che vi sia “pericolo d’aggressione”, ricadendo con ciò evidentemente in pieno nel medesimo caso “a”.
La riforma votata alla Camera ha riguardato anche l’articolo 59 del codice penale, quello che riguarda le “circostanze non conosciute o erroneamente supposte”. Ecco il testo modificato, con in grassetto la parte aggiunta:

Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Nei casi di cui all’articolo 52, secondo e terzo comma, la colpa dell’agente è sempre esclusa quando l’errore è conseguenza del grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione posta in essere in situazioni comportanti un pericolo attuale per la vita, per l’integrità fisica o per la libertà personale o sessuale.

Anche in questo caso la norma, in realtà, non raggiunge lo scopo che si sarebbe voluti prefiggersi, cioè quello (se possibile) di rendere il giudizio quanto più possibile indipendente dalla soggettività del giudice. Se, infatti, il discrimine è rappresentato dalla necessità di valutare il “grave turbamento psichico”, è lecito temere che si sia di fronte a una vera “prova diabolica”, visto che l’elemento psicologico di una situazione è quanto di più soggettivo possa esserci al mondo. E poi, quando è “grave”, “moderato” o “lieve”? E il pericolo che ha determinato il turbamento, quanto sarà stato “attuale”?