La Cassazione torna su Taser, manganelli, tirapugni e coltelli a scatto

Con sentenza n. 8991 del 16 settembre 2022 (pubblicata il 2 marzo), la sezione I penale della corte di Cassazione è tornata a occuparsi della natura giuridica di Taser, manganelli estensibili, tirapugni e spray antiaggressione al capsicum (con caratteristiche diverse rispetto a quelle previste dal decreto ministeriale 12 maggio 2011, n. 103), ma anche dei coltelli a scatto con lama a un filo e mezzo.

In particolare, tutti questi strumenti erano stati sequestrati a un venditore ambulante, che è stato condannato per la contravvenzione prevista dall’articolo 699 del codice penale. Il cittadino ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo tramite il suo legale che gli strumenti oggetto di sequestro non fossero da considerarsi armi proprie.

I giudici hanno respinto il ricorso, considerando che “Tutti i dissuasori elettrici oggetto d’imputazione – come risulta dalle risultanze di prova, ivi compresa la relazione di consulenza di parte – sono della tipologia del tipo Taser, ovverosia funzionanti con elettrocuzione a distanza (da distinguersi dai dissuasori o storditori stungun che, invece, necessitano di essere materialmente posti a contatto con il soggetto che s’intende colpire). Ebbene il Taser è certamente arma comune da sparo, «trattandosi di dispositivo che ha il funzionamento tipico di tali armi e che, lanciando piccoli dardi che a contatto con l’offeso scaricano energia elettrica, è sicuramente idoneo a recare danno alla persona» (Sez. 2, n. 49325 del 25/10/2016 Calabrice, Rv. 268364; Sez. 1, n. 5830 del 7/11/2018, dep. 2019, Allerino, non mass.).

Secondo l’art. 2,comma 3,della Legge n. 110 del 1975 sono armi comuni da sparo le armi ad aria compressa, i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule, nonché gli strumenti lanciarazzi, non destinati alla pesca ed alla caccia, dei quali non sia stata esclusa la idoneità a recare offesa alla persona. La norma consente, dunque, d’inquadrare come arma comune da sparo ogni dispositivo che esplode proiettili dotati di una significativa energia cinetica, nonché i dispositivi lanciarazzi idonei a recare danno alla persona. Mentre la capacità del proiettile di recare danno dipende dall’energia cinetica erogata, diversamente i dispositivi lanciarazzi si presumono idonei all’offesa salvo che tale capacità non sia stata espressamente esclusa dall’autorità competente (Banco nazionale di prova). Il Taser (con sistema di lancio ad aria compressa o a innesco elettrico) lancia appunto piccoli dardi, o razzi, che a contatto con la persona ne producono la temporanea immobilizzazione con effetti più o meno imponenti sul sistema cardiaco. È un dispositivo la cui idoneità a recare danno non dipende dall’energia cinetica dei dardi, essendo l’idoneità all’offesa dipendente dalla scarica elettrica; conseguentemente, per l’inquadramento del Taser come arma comune da sparo non è necessario che venga misurata l’energia cinetica di emissione del dardo, ma solo che – come nel caso di specie – non sia stata esplicitamente esclusa la sua idoneità all’offesa.

Del pari generiche e meramente reiterative delle argomentazioni svolte in sede di appello, adeguatamente vagliate e superate dalla Corte territoriale con motivazione rispettosa degli approdi giurisprudenziali in materia, sono le censure aventi a oggetto i manganelli telescopici e i tirapugni”.

Manganelli e tirapugni
“Quanto ai primi – pacificamente rinvenuti sul banco di vendita – deve richiamarsi la sentenza di primo grado che, nell’affermarne la natura di arma tra quelle indicate nell’art. 4, comma primo, della legge n. 110 del 1975, ha – con motivazione non manifestamente illogica – escluso che il mal funzionamento del meccanismo di apertura e chiusura rilevato dal consulente della difesa in alcuni degli oggetti sequestrati e la scarsa qualità del materiale per quelli in plastica potessero incidere sulla potenzialità offensiva degli stessi, anche alla luce della diretta verifica svolta dal Giudice in occasione dell’apertura del corpo di reato.

Si tratta di una motivazione che si pone in perfetta coerenza con il principio espresso in sede di legittimità (Sez.1 n. 21780 del 20/07/2016, dep. 2017, Mazzi, Rv. 270263) secondo cui «Il “manganello” o “sfollagente” è esplicitamente compreso tra le armi indicate nell’art. 4, comma primo, della legge n. 110 del 1975 di cui è vietato il porto, salvo le autorizzazioni previste dall’art. 42 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in quanto strumento la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona. (Fattispecie relativa al porto di un manganello telescopico della lunghezza complessiva di cm. 53)». In motivazione la Corte ha spiegato che «Contrariamente a quanto pure affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 9705 del 30/06/1992 Elmi, Rv. 191882; Sez. 1, n. 6100 del 03/05/1984, Fabbi, Rv. 165069) va quindi data continuità, ad avviso del Collegio, anche in considerazione della naturale evoluzione della lingua quale registrata dai più autorevoli esperti di linguistica e filologia della lingua italiana, all’opposto orientamento giurisprudenziale (Sez. 1, n. 5852 del 23/01/1978, Andreotti, Rv. 138978), secondo cui “Il manganello o sfollagente è esplicitamente compreso tra le armi e gli strumenti ad esse assimilati indicati nel primo comma dell’art. 4 della legge n 110 del 1975 sul controllo delle armi e per i quali è dalla legge vietato il porto, salvo le autorizzazioni previste dal terzo comma dell’ad. 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Detti strumenti, la cui destinazione naturale e l’offesa alla persona, sono tenuti distinti dalla legge dagli altri oggetti, che, pur avendo normalmente una specifica e diversa destinazione, possono occasionalmente servire all’offesa e che attualmente trovano la loro disciplina nel secondo comma del predetto articolo 4, il quale ha ampliato la casistica dell’art. 42, secondo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.

Quanto al tirapugni – pacificamente in metallo quello rinvenuto esposto per la vendita – si tratta di uno strumento che ha naturale e oggettiva finalità di offesa e che, ove impiegato, il suo utilizzo è funzionale solo a incrementare lo spessore lesivo che deriva da un colpo o un’azione violenta. Per detta qualità, dev’essere annoverato tra le armi proprie, nella categoria di quelle bianche, che sfruttano abilità e forza fisica individuale per recare offesa e/o produrre lesioni. Da ciò discende che allorquando – come nel caso che ci occupa – il tirapugni sia in metallo e abbia le caratteristiche anzidette è un’arma che ha destinazione naturale di offesa contro le persone (Sez. 1 n. 23840 del 13/01/2021, Brassi, Rv. 281398; Sez. 1, n. 2776 del 16/11/1993, dep. 1994, De Palo, Rv. 196794; Sez 1 n. 3377 del 28/3/1995 Scalmana, Rv. 200698; Sez 1 n. 8 del 11/3/1992, Boriosi, Rv 191121)”.

Il capsicum
“Come già rilevato dalla Corte territoriale, errate in diritto sono le deduzioni difensive in tema di rapporti tra norme primarie e norme regolamentari in tema di bomboletta spray contenenti sostanze urticanti.

In sede di legittimità è principio pacifico, cui i giudici del merito si sono attenuti, quello secondo cui «Integra la contravvenzione di porto abusivo di armi, di cui all’art. 699 cod. pen., il porto in luogo pubblico di una bomboletta contenente spray urticante a base di oleoresin capsicum che non rispetti le caratteristiche stabilite dal decreto ministeriale 12 maggio 2011 n. 103» (Sez. 1, n.57624 del 29/09/2017, Greco, Rv. 271901). In motivazione la Corte – dopo aver passato in rassegna i precedenti non univoci orientamenti in tema di bombolette contenenti spray urticanti – ha posto in rilievo come, in tempi più recenti, si sia registrata una diversa linea interpretativa alla luce delle norme regolamentari introdotte dal D.M. 12 maggio 2011, n. 103, per la quale la bomboletta contenente spray urticante a base di peperoncino, in particolare contenente l’oleoresin capsicum, principio estratto dalle piante di peperoncino, non è compresa né tra le armi da guerra o tipo guerra, né tra quelle comuni da sparo e la condotta di porto non integra il delitto previsto dall’art. 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e succ. modif., (sez. 1, n. 3116 del 24/10/2011, Cantieri, Rv. 251825; sez. 1, n. 14807 del 07/01/2016, Delmastro, rv. 267284; sez. 1, n. 19411 del 09/03/2017 Sacco e ez. 1, n. 19412 del 09/03/2017, Vailatti, entrambe non massimate), né la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 699 cod. pen.

Ciò premesso, ritiene il Collegio di dover dare seguito a tale orientamento e che la soluzione al tema di diritto sollevato dalla difesa debba partire dal dato fattuale della natura e delle caratteristiche dei dispositivi sequestrati all’imputato, i quali – come emerso dalle risultanze di prova (etichetta impressa sulle bombolette) – contenevano tutti una soluzione irritante a base di oleoresin capsicum con concentrazione superiore al 10%, oltre ad essere prive del necessario sistema di sicurezza contro l’attivazione incidentale, con conseguente non conformità al d.m. 12 maggio 2011, n. 103.

Detto decreto, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», al primo comma, invero, stabilisce che: «1. Gli strumenti di autodifesa di cui all’articolo 2, comma 3, della legge 18 aprile 1975, n. 110, in grado di nebulizzare una miscela irritante a base di oleoresin capsicum e che non hanno attitudine a recare offesa alle persone, devono avere le seguenti caratteristiche: a) contenere una miscela non superiore a 20 ml; b) contenere una percentuale di oleoresin capsicum disciolto non superiore al 10 per cento, con una concentrazione massima di capsaicina e capsaicinoidi totali pari al 2,5 per cento; c) la miscela erogata dal prodotto non deve contenere sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, cancerogene o aggressivi chimici; d) essere sigillati all’atto della vendita e muniti di un sistema di sicurezza contro l’attivazione accidentale; e) avere una gittata utile non superiore a tre metri». Il secondo comma della stessa norma, inoltre, prevede: «2. Tutti gli strumenti di autodifesa di seguito denominati prodotti non conformi alle caratteristiche tecniche di cui al comma 1 rimangono disciplinati dalla normativa in materia di armi». È dunque corretta la motivazione del giudice di appello laddove ha richiamato la testuale previsione di legge che prescrive per i dispositivi contenenti l’oleoresin capsicum la soggezione alla normativa in materia di armi, quando non conformi ai requisiti previsti dal Decreto ministeriale. Trattandosi pertanto di strumenti, che secondo la loro naturale destinazione sono in grado di arrecare offesa alla persona, ancorché temporanea e reversibile, e rispetto alle quali non è consentito ottenere il rilascio della licenza per il porto in luogo pubblico, deve ritenersi che la condotta posta in essere dal ricorrente rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 696, comma 2, cod. pen”.

I coltelli con un filo e mezzo
Per quanto riguarda i coltelli a scatto oggetto di sequestro, i giudici hanno osservato che “premesso che «Ai fini della qualificazione di un coltello quale arma propria od impropria, deve farsi riferimento, rispettivamente, alla presenza o alla assenza della punta acuta e della lama a due tagli, tipica delle armi bianche corte, mentre sono irrilevanti le particolarità di costruzione dello strumento» (Sez. 1, n. 17255 del 01/04/2019, Naccarato, Rv. 275252), si rileva che, proprio sulla scorta della descrizione fatta dal consulente della difesa oltre che della diretta visione da parte del Giudice di primo grado del corpo di reato, è stato possibile verificare che detti strumenti erano dotati di punta acuta e doppio filo, sebbene su uno dei due lati non completo, ma esteso fino alla metà della lama; tali caratteristiche sono necessarie e sufficienti a far ritenere i coltelli di cui si tratta armi bianche, per l’attitudine di assumere le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto”.