L’ingiustizia di Gatti e dell’Espresso

Tutto già scritto, già detto, scontato. Le solite armi di una certa propaganda. Fabrizio Gatti del cittadino che ha paura per la criminalità che aumenta se ne frega altamente. Qualcuno gli ha detto che il problema è rappresentato dalle armi legalmente detenute…

La tecnica dell’Espresso è nota: un po’ di dati buttati lì senza spiegazione o con la spiegazione più utile alla tesi precostituita. Qualche fatto di cronaca più o meno eclatante e due battute rubate da Internet, una dichiarazione di due righe che vuol dire tutto e niente, i numeri del ministero che noi avevamo ricevuto tempo fa e commentato con maggiore competenza e volontà di approfondire. Soprattutto, tanto scalpore mediatico.

Del cittadino che la criminalità la subisce tutti i giorni Fabrizio Gatti se ne frega altamente. Se si difende è più criminale lui. D’altra parte persino il prefetto di Vicenza, che pure dovrebbe avere una scorta (ed essere più accorto nelle dichiarazioni), per difendersi tiene la mazza in macchina quando va allo stadio… Altroché accettazione della violenza!

Le uniche considerazioni forti dell’ennesima inchiesta dell’Espresso sul “Far west Italia” sono che “spari e grida salgono da un Paese saccheggiato, rabbioso. Anche per questo spinto oltre i confini del razzismo”. Non si sa cosa c’entri il razzismo, ma ci sta bene. E così il Paese diventa più rabbioso. Fabrizio Gatti, giornalista d’assalto, ci vuole dare notizie allarmanti: “il ministero dell’Interno ha perso il conto delle armi legalmente in circolazione”. Oddio, com’è possibile, sono saltati i “cervelloni”? Vabbe’, ma io in questura, per esempio, ho un faldone di denunce d’armi che sembra la Treccani. In realtà è saltato il cervellone di Gatti che spiega “cancellato il catalogo nazionale nessuno sa dire quante siano”. Peccato che il catalogo nazionale proprio non c’entrasse con il numero delle armi circolanti e fosse soltanto un inutile retaggio del passato, tra l’altro sostituito nelle funzioni dal Banco nazionale di prova (con risultati non sempre brillanti).

Un’altra notizia allarmante (sul serio) di Gatti è che in questi anni c’è stata una drastica riduzione del personale delle forze di polizia e che la colpa è di Silvio Berlusconi, lo dice il segretario generale del Sindacato di polizia Siap. Anche Roberto Maroni ci avrebbe messo del suo, dirottando sulle polizie locali fondi destinati invece a quelle nazionali. Gatti ce l’ha proprio con il Bobo e non solo: “da quando la lobby bresciana dei produttori ha convinto il ministro Maroni e la maggioranza in Parlamento ad abrogare il catalogo nazionale, si è rinunciato a mettere ordine”: ancora ‘sto catalogo? Ma perché il giornalista d’assalto dell’Espresso non si informa? Dove prende le sue cantonate? Una chicca però c’è: “Nonostante le decine di milioni stanziati dalla Ue per realizzarla, l’anagrafe informatica delle armi è stata cancellata da una legge del 2011”. Sarà vero? Io ricordo che un direttore della Divisione armi del ministero ne aveva fatto un vanto personale, ma si era spinto molto oltre le sue funzioni e forse il lecito per raccogliere i fondi.

Insomma il cittadino ha paura, la polizia non c'è, la tentazione di difendersi da soli è forte. Anche se in Italia non si può, questo Gatti avrebbe dovuto riconoscerlo. Se lo fa, anche se la difesa è legittima, il rischio di andare in galera è quasi certo. Se il cittadino va a comprare le armi, si esercita nell’attività sportiva del tiro o della caccia, è sempre più pericoloso lui. Perché i calibri sono sempre da guerra e servono a sparare a due chilometri. Perché è il più controllato, ma solo ogni sei anni e, secondo Gatti, trova sempre scappatoie. E poi c’è sempre quello che compra le armi per la mala. Tutto già scritto, già detto, scontato. Le solite armi di una certa propaganda. Pericolose, sì, più pericolose di quelle vere per l’opinione pubblica perché la preoccupano e fomentano. Ma ispirate da chi? Zelo, poliziotti che non conoscono le leggi, burocrati ministeriali? Una cosa è certa, Gatti ha fatto un servizio a tutti questi, probabilmente, ma non ai lettori. Perché non ha certo rappresentato la verità sostanziale dei fatti.