Il terrore ferisce anche la Svizzera

A Lugano una donna di 28 anni ha afferrato un coltello da cucina, in vendita presso un centro commerciale, e inneggiando al jihad ha ferito due persone. Ancora una volta non è necessaria l’arma da fuoco e ancora una volta sono stati i presenti a fare la differenza

Dopo i recentissimi eventi di Francia e Austria, sembra che i moti terroristici islamisti continuino a tenere in tensione la vecchia Europa: a Lugano, nella Svizzera italiana, una donna di 28 anni ha afferrato un coltello da cucina, in vendita presso un centro commerciale, ed inneggiando al jihad ha ferito due persone.

Si tratta di una cittadina svizzera, il cui nome era emerso già nel 2017 in un’indagine sul terrorismo. Si sospetta che si sia radicalizzata in Svizzera, sul cui territorio nel 2019 erano 130 le persone classificate come “radicalizzate”, con particolare concentrazione nell’area del Lago di Ginevra e nel Canton Ticino.

Lo stabbing (accoltellamento) è modalità di attacco terroristico da sempre diffusa nel vicino oriente, che negli ultimi anni sta rappresentando una seria minaccia anche nella dimensione asimmetrica che i vari protagonisti del terrorismo islamico stanno conducendo in occidente.

Nella visione puntiforme e fluida dell’attuale terrorismo jihadista, lo stabbing presenta tutti i vantaggi desiderati da chi cerca il massimo effetto con il minimo impegno operativo: possibilità di impiego di neo-radicalizzati (o addirittura auto-radicalizzati senza contatti concreti con gruppi terroristici), che non necessitano quindi di alcuna preparazione; offensività elevatissima del coltello, che infligge ferite e morte anche nelle mani di persone inesperte; possibilità di reperire ovunque uno strumento da taglio, anche a costo zero.

È proprio quanto avvenuto al quinto piano del centro commerciale Manor di Piazze Verdi, zona sud di Lugano, martedì 24 novembre: la donna ha afferrato un grosso coltello da cucina in vendita presso lo store e ha tentato di accoltellare una donna al collo e di strangolarne un’altra.

L’elenco degli attacchi a mezzo di strumenti da taglio – specificamente contro le forze di sicurezza o random, nei confronti della cittadinanza – sono una minaccia che abbiamo dovuto imparare a conoscere e mappare: insieme al vehicle ramming (investimento di pedoni con veicoli a motore) pressoché impossibili da prevedere e da anticipare per l’assenza di atti preparatori, sono uno degli strumenti su cui la propaganda (anche on-line) jihadista ha fatto leva per stimolare l’azione a distanza ed offrire mezzi accessibili a chiunque.

In modo specifico, tra gli altri viene alla mente l’episodio del 27 luglio 2017 in Germania, ad Amburgo. Anche il quel caso un richiedente asilo, conosciuto dalle autorità come radicalizzando senza però contatti con gruppi terroristici, entrò in supermercato, prelevò un grosso coltello da cucina in vendita e attaccò sul posto: in quell’occasione, però, la maggior perizia e determinazione dell’offender causarono 1 morto e 5 feriti.

Per fortuna, nel caso di Lugano ancora una volta è stato l’intervento dei presenti a evitare il peggio. L’attentatrice è stata fermata prima ancora dell’arrivo delle forze di sicurezza evitando che l’azione, almeno questa volta, causasse vittime. Ancora una volta, in questo genere di eventi è emerso come la gestione della prima fase dell’emergenza, in attesa dell’intervento dei soccorsi istituzionali, sia nelle mani di chi trova sul posto: è indubbio che la presenza di personale addetto alla sicurezza, soprattutto se armato, ben equipaggiato ed opportunamente formato, rappresenta una risorsa impareggiabile per il contenimento dei danni causati da azioni simili.

Il giorno dopo l’attentato alla Manor di piazza Verdi, Lugano si è svegliata incredula e sotto shock. Inevitabile in una città dove episodi del genere non sono quasi nemmeno pensabili. La tranquillità del centro luganese è proverbiale, lo scossone di martedì pomeriggio è stato simile a un terremoto.

In realtà, però, almeno tra gli esperti del terrorismo islamico, quanto accaduto non è stata una novità assoluta. Lo ha spiegato in modo chiaro – in un’intervista al quotidiano di lingua tedesca Blick – Miryam Eser, docente presso il dipartimento di lavoro sociale della Scuola universitaria professionale di Zurigo: «Un fatto del genere sarebbe potuto accadere in qualsiasi città, ma i dati sui membri della jihad in Svizzera nel 2019 mostrano che sia l’area del Lago di Ginevra sia il Ticino sono i territori più colpiti dalla radicalizzazione rispetto ad altre regioni della Confederazione». Secondo Miryam Eser, che nella sua intervista cita i numeri dei servizi rossocrociati, «nel 2019 c’erano circa 130 persone classificate come radicalizzate, ed è difficile dire quante di loro possano diventare pericolose. Di queste, cinque erano in Ticino». Si tratta di militanti jihadisti «sotto osservazione» costante della polizia, come pure è emerso. Ma il dato ticinese è «significativo, anche a causa della minore densità di popolazione».