Caso Arezzo: perché Mugnai è stato arrestato?

Sandro Mugnai, il 53enne che a San Polo, alle porte di Arezzo, ha sparato con la sua carabina da caccia uccidendo il 58enne Gezim Dodoli, dopo che quest’ultimo stava cercando di seppellire lui e i suoi famigliari sotto la propria casa, demolendola a colpi di benna escavatrice, è tornato in libertà ieri, dopo l’udienza di convalida dell’arresto. Il giudice infatti ha ritenuto che non sussistessero le esigenze di custodia cautelare in carcere, in attesa del procedimento penale che dovrà comunque seguire il proprio corso.

In queste ore sono in molti a essersi domandati come mai, anche nel caso in cui alle forze dell’ordine intervenute sul posto fosse risultato evidente che Mugnai aveva operato nei limiti della legittima difesa, sia stato necessario arrestare l’uomo (che ha trascorso in carcere il weekend, in attesa appunto dell’udienza di convalida dell’arresto) e se non fosse possibile evitare la carcerazione, seppur per pochi giorni.

Occorre a tal proposito ricordare che la legittima difesa è una causa di non punibilità, ma non estingue il reato che, in questo caso, è di omicidio volontario. Per le forze dell’ordine intervenute nell’immediatezza del fatto, si è quindi presentata la situazione di un omicida volontario colto in flagranza di reato e, in tale circostanza, opera l’articolo 380 del codice di procedura penale, il quale dispone: “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all’arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo consumato o tentato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni”. Il concetto di “flagranza” del reato è rappresentato dall’articolo 382 del codice di procedura penale: “È in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”.

Quindi, le forze dell’ordine che hanno proceduto all’intervento erano obbligate a trarre in arresto il cittadino, non c’era facoltà di scelta. Anche perché la valutazione relativa al fatto che esistessero o meno i presupposti per la legittima difesa non spetta alle forze dell’ordine, men che meno nell’immediatezza del fatto, bensì alla magistratura, una volta raccolti e accertati tutti gli elementi. Si può essere d’accordo o meno con questa situazione, ma questa al momento è la legge.

È pur vero che esiste l’articolo 385 del codice di procedura penale, il quale prevede che “L’arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità“. Ma è altrettanto vero che, purtroppo, essendo la valutazione delle “circostanze del fatto” rimesse alla valutazione soggettiva di chi procede, in situazioni siffatte l’applicazione è qualcosa men che sporadica.

Mugnai è stato trattenuto in carcere per il tempo necessario a giungere fino alla prima udienza utile (caso ha voluto che il fatto avvenisse poche ore prima di un ponte festivo), nella quale è stato convalidato l’arresto (il giudice ha, cioè, certificato che i presupposti per l’arresto erano corretti), ma non sono state ritenute sussistenti le esigenze di custodia cautelare in carcere, in attesa del processo. Le esigenze di custodia cautelare sussistono quando, in presenza di gravi indizi di colpevolezza (e qui non c’è dubbio su chi abbia premuto il grilletto), si ritengano esistenti i rischi di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del reato. Che in questo caso non sono stati ritenuti verosimili.

A questo punto si aprirà il procedimento penale che, se verranno riconosciuti i presupposti per la legittima difesa, potrebbe portare all’archiviazione ancor prima che si apra il processo vero e proprio o, nel caso in cui si giunga al dibattimento, all’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.