Cambia residenza e non ripete la denuncia: illegittimo il ritiro delle armi

Con sentenza n. 15.739 del 24 novembre 2022, il Tar del Lazio (sezione Prima Ter) ha accolto il ricorso di un cittadino al quale era stato comminato il divieto di detenzione delle armi da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Questo in base a un giudizio di inaffidabilità del soggetto, fondato sul fatto che era stato denunciato in stato di libertà per aver cambiato residenza e non aver presentato nuova denuncia con la variazione dell’indirizzo nel quale le armi erano state traslocate.

I giudici hanno argomentato che “l’art. 11 del r.d. n. 773/1931 dispone che le autorizzazioni in materia di armi “devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanza che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione” Come chiarito da un costante indirizzo giurisprudenziale, la ratio posta alla base della richiamata disposizione risiede nell’opportunità di evitare che le autorizzazioni al porto di armi permangano nella titolarità di soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul corretto loro uso, potendo costituire un pericolo per l’incolumità e per l’ordine pubblico. Ai fini dell’emissione di un giudizio di negativa affidabilità è, tuttavia, necessario, secondo l’indirizzo interpretativo in esame, che i precedenti comportamenti del richiedente siano sintomatici, vale a dire idonei, nell’ottica di una prognosi ex ante, a sostenere un giudizio di un non corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale (ex multis Cons. St., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 5129). La Corte Costituzionale ha chiarito che la disposizione sopra riportata deve essere interpretata nel senso che alcun carattere immediatamente ostativo, ai fini della revoca delle licenze di pubblica sicurezza può riconoscersi al fatto di essere iscritti nel registro degli indagati ovvero di aver riportato condanna in sede penale, attesa la necessità di procedere ad una concreta prognosi, che tenga conto di una serie di circostanze, quali l’epoca a cui risale la condotta contestata, i reiterati rinnovi del titolo di polizia nel frattempo intervenuti, la condotta tenuta successivamente al fatto di reato e fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale (Corte Cost. n. 331 del 1996, cfr. anche, Cons. Stato, n. 5095 del 2012 e n. 4630 del 2011). Ciò premesso, l’illegittimità del provvedimento impugnato deriva dalla circostanza per cui il giudizio negativo di affidabilità nell’uso delle armi è stato formulato esclusivamente e in via automatica sulla base della denuncia per “omessa ripetizione della denuncia di detenzione di anni”, in quanto, a seguito di cambio di residenza dal comune di -OMISSIS-, non ha provveduto a ripetere la denuncia di detenzione delle armi da lui detenute. Come la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire in plurime decisioni, il provvedimento di divieto di detenzione delle armi è illegittimo nel caso in cui, come nella specie, l’Amministrazione si limita ad aderire pedissequamente alle risultanze di una denuncia, senza svolgere alcuna seria istruttoria e alcuna valutazione sul materiale prodotto dal ricorrente” (cfr. ex multis T.A.R. Lombardia sez. I, 18/05/2020, n.843). La motivazione posta a sostegno del provvedimento impugnato, in definitiva, non è di per sé sufficiente a dare conto delle ragioni per cui il ricorrente debba essere ritenuto soggetto pericoloso o comunque non affidabile all’uso delle armi, mancando nella specie una adeguata valutazione sia del singolo episodio che della personalità del soggetto tale da adeguatamente spiegare il giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, anche alla luce del fatto che il ricorrente è titolare della licenza da molti anni durante i quali non risulta avere avuto mai problemi. Sul punto la Sezione ha già avuto occasione di affermare che “sebbene siano atti di elevato contenuto discrezionale, il diniego di rinnovo o la revoca del porto d’armi, devono contenere una valutazione ragionevole delle risultanze istruttorie e dei concreti profili dai quali poter fondatamente desumere la prognosi di inaffidabilità del ricorrente -” (T.A.R. Lazio 15/11/2016 n. 724). L’amministrazione, come evidenzia la migliore dottrina, nell’esercizio del potere discrezionale ha non solo l’obbligo di considerare e valutare tutti gli interessi presenti in una determinata fattispecie, ma anche, e ancora prima, l’obbligo di conoscere e valutare i fatti su cui gli interessi si fondano e da cui scaturiscono. Muovendo da tale premessa concettuale, un consolidato orientamento giurisprudenziale è giunto condivisibilmente ad affermare che non è sufficiente la mera enunciazione astratta dell’asserita ricorrenza dei presupposti di fatto legittimanti l’adozione di un provvedimento, dovendo l’amministrazione fornire adeguata prova di essi (ex pluribus Consiglio di Stato sezione IV del 15 novembre 2004 n. 7429). Nel caso in esame il Collegio ravvisa inoltre anche la dedotta violazione del principio di proporzionalità. Come noto, il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbano andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni la pubblica amministrazione deve ricorrere a quello meno restrittiva , non potendosi imporre obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l’amministrazione deve realizzare (ex multis Consiglio di Stato 2018 n. 6951). Ebbene, applicando le enunciate coordinate ermeneutiche alla fattispecie sub iudice, deve pervenirsi alla conclusione per cui i profili di censura relativi al difetto di proporzionalità devono essere accolti. L’amministrazione resistente avrebbe potuto, invero, a fronte di un contegno caratterizzato da una negligenza non grave, adottare provvedimenti meno drastici di quello nel concreto adottato. in consonanza con il predetto principio di proporzionalità”.