Berlino vota no all’invio di nuove armi all’Ucraina

Il parlamento tedesco ha detto no, con una maggioranza piuttosto massiccia (476 contrari contro 179 favorevoli) a un ulteriore invio di armi all’Ucraina, inclusi i “famosi” carri armati richiesti dal premier ucraino Zelensky e, finora, mai spediti dagli eserciti aderenti alla Nato.

La proposta di rafforzamento ulteriore delle forniture militari, inclusa appunto quella dei carri armati, è scaturita dall’Unione cristiano democratica della Germania e dall’Unione cristiano sociale in Baviera (Cdu/CsU) e il “no” espresso dall’assemblea appare tutt’altro che casuale agli osservatori, giungendo a poche ore di distanza dal piano di sostegno energetico per 200 miliardi di euro predisposto per difendere cittadini e imprese dalla crisi energetica innescata dal conflitto e dalle sanzioni verso la Russia. Per non parlare del rischio di una escalation irreversibile del conflitto. Il voto contrario alla mozione è giunto in concomitanza con alcuni interventi dell’ex cancelliera Angela Merkel, la quale sul conflitto russo-ucraino ha espresso posizioni di dissenso verso un appiattimento del governo tedesco sulle posizioni statunitensi, insistendo invece sull’importanza di rilanciare i canali diplomatici e il dialogo con la Russia: “prendere sul serio le parole di Putin, non liquidarle come un bluff ma confrontarcisi seriamente non è un segnale di debolezza, ma di saggezza politica”, ha dichiarato la Merkel, “una saggezza che aiuta a mantenere un margine di manovra o a svilupparne di nuovi”. La Merkel si è spinta anche oltre, parlando della necessità di costruire un’architettura di sicurezza paneuropea insieme alla Russia: parole che evidenziano una volontà (che comincia a essere condivisa, numeri alla mano, dal Parlamento tedesco) di smarcarsi dall’atlantismo duro e puro.

I partiti che avevano proposto la mozione per l’invio di ulteriori armi all’Ucraina hanno peraltro accusato la camera tedesca di aver violato la risoluzione dello stesso bundestag votata il 28 aprile scorso. Si attendono, a questo punto, reazioni anche da Washington.