Oxford High school: le simulazioni sulla gestione dell’emergenza funzionano?

Una scuola del Michigan teatro dell’ennesimo active shooter: le ripetute simulazioni scolastiche di scenari emergenziali hanno probabilmente contribuito a contenere il bilancio di vittime

Per fortuna non è stata Columbine, ma il fenomeno active shooting nelle scuole resta drammatico. Giusto il tempo di divulgare la notizia dell’arresto di quattro adolescenti con l’accusa di aver pianificato l’attacco armato della loro scuola, la Dunmore High School in Pennsylvania, nel 25° anniversario del massacro alla Columbine High School, ed ecco che la cronaca ci riferisce di un nuovo terrificante episodio di active shooting nelle scuole.

Il 30 novembre il 15 enne Ethan Crumbley si è infatti reso responsabile del mass shooting presso la Oxford High school nel Michigan, uccidendo 4 persone.

Active Shooting nelle scuole
È noto come le pulsioni omicidiarie che sfociano in un mass killing – specie nella forma del mass shooting – abbiano spesso quale bersaglio il luogo in cui possono essere maturati una buona parte dei rancori irrisolti nell’assalitore, che questo non è riuscito a gestire con i comuni strumenti della sua personalità: scuola e luogo di lavoro occupano, in questo senso, un triste primato nelle tipologie di target idealizzati dagli assalitori e contro i quali questi hanno poi effettivamente sfogato il proprio istinto omicida.

Si tratta di luoghi spesso idealizzati dagli offender come culla del malessere ma non è affatto scontato che, invece, paghino esclusivamente il prezzo di disagi nati in altri contesti della vita, come quello familiare, di coppia e così via.

Comunque sia, proprio per il loro ruolo di target di elezione in questo genere di episodi, scuole e luoghi di lavoro sono stati tenuti in grande considerazione nella redazione e nella divulgazione della procedure che Homeland Security Department ha ormai da anni diffuso in ogni possibile modo e forma, dalle schede illustrative ai video istruzionali. In qualche modo si può dire che la procedura Run, Hide, Fight, che insegna a fuggire quando possibile, in alternativa a nascondersi o, in ultima analisi, ad affrontare l’assalitore, è stata individuata proprio per provare a contenere i danni di un mass shooting in luoghi in qualche modo confinati, quali gli edifici che ospitano scuole, uffici e così via.

Active shooting alla Oxford High School
Le informazioni sullo shooting della Oxford High School sono ancora scarse e frammentate. Si sa, però, che dopo i primi spari gli studenti hanno barricato le porte, hanno telefonato per chiedere aiuto e hanno raccolto tutto ciò che potevano afferrare nel caso avessero avuto bisogno di reagire, da forbici a pesanti calcolatrici, per poi riuscire a fuggire attraverso le finestre e i cortili, fino a raggiungere le forze dell’ordine nel frattempo intervenute. Run, Hide, Fight sembra aver funzionato davvero, anche e soprattutto perché risulta che l’istituto avesse affrontato numerose simulazioni dell’emergenza declinate specificamente su questo genere di minaccia: le simulazioni servono e il nostro cervello impara davvero, mettendoci in condizione di ripetere comportamenti appresi in simulazione nel caso di emergenza reale.

La consapevolezza sui comportamenti da tenere in questo specifico caso di workplace violence, infatti, è il principale strumento di mitigazione dei danni a disposizione dei presenti all’evento, nell’attesa dell’intervento dei soccorsi istituzionali ed in questo caso sembra che l’attacco abbia trovato una risposta pronta e consapevole.

La polizia dopo aver fatto irruzione è riuscita così ad arrestare Crumbley, che sembra fosse in possesso di una pistola semiautomatica e di tre caricatori, con un bilancio di una trentina di bossoli sparati raccolti dagli investigatori. Il quindicenne pare inoltre che abbia esploso alcuni colpi anche attraverso le porte, nel frattempo barricate dall’interno, e abbia anche provato a forzarne qualcuna, tuttavia senza successo. Poi, una volta intercettato dalla polizia, ha deposto la pistola e si è arreso.

La sua capacità solo parziale di pianificare e portare a termine il suo attacco e la sua volontà di sottrarsi a un conflitto a fuoco con la polizia, che avrebbe di certo portato ad un suicide-by-cop, fanno pensare a un offender che, in presenza di determinazione maggiore, avrebbe potuto determinare un bilancio ancor più drammatico. Senz’altro, poi, la prontezza dei presenti, il tempismo della polizia e la mancanza di altre e più numerose armi e munizioni hanno fatto il resto. Nel dramma, quindi, sembra si sia trattato di un active shooting “timido” e pressoché improvvisato.

Di certo emergeranno profili di personalità di Crumbley e altri aspetti della sua vita che possono aver avuto una spinta criminogenetica in questa direzione: la cronaca riporta l’ipotesi di un cattivo rapporto con la compagna del padre, l’ipotesi che subisse bullismo da parte di compagni e altre ancora. Non ultimo, occorre sempre valutare anche l’eventuale impatto nefasto sui più giovani di media e videogames violenti, che contribuiscono a “normalizzare” la violenza estrema cui i giovani sono esposti, fino a trasformarla in una soluzione percorribile nella vita reale.

Quello che è certo è che, al di là dei tratti di personalità che hanno portato a riversare i suoi disagi in una terribile azione criminosa, sembra un gesto messo in piedi nel momento in cui l’assalitore ha avuto fortunosamente a disposizione un’arma.

La pistola sottratta al padre e la custodia di armi e munizioni
Pare, infatti, che il padre di Crumbley avesse acquistato la pistola impiegata nello shooting appena quattro giorni prima dell’evento e che il padre stesso possa essere incriminato per non aver custodito scrupolosamente armi e munizioni ed averne consentito l’impossessamento da parte del figlio. Qualche cronista d’Oltreoceano ha anche ipotizzato la violazione di un presunto obbligo di custodire separatamente armi e munizioni.

Il tema è ovviamente di grande interesse per chiunque detenga un’arma, a prescindere dal contesto legislativo differente che presenta ogni Paese.

In Italia l’art. 20 della legge 110 del 1975 prevede che la custodia delle armi debba essere assicurata «con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica», senza tuttavia indicare analiticamente quali modalità debbano essere adottate dal detentore per la custodia di armi e munizioni. Dalle interpretazioni concrete, rese caso per caso, emerge senz’altro la necessità generale che nessuno, a maggior ragione se difetta di titolo o di capacità di agire, se ne possa impossessare. Di qui la rincorsa alle cautele, nella necessità di dimostrare a posteriori, nel caso di incidente, di aver adottato ogni cautela adottabile.

Le cautele, però, non si possono spingere sino a privare il legittimo detentore della possibilità, in caso di bisogno, di avere un’arma carica e funzionante da impiegare allo scopo di difendere sé e famiglia, altrimenti non si spiegherebbe l’introduzione, all’art. 52 Codice Penale sulla legittima difesa, dell’ipotesi relativa alla cosiddetta “legittima difesa abitativa”.

In ogni caso, detenere un’arma è sempre causa di grandi responsabilità, materiali e concrete prima ancora che in senso giuridico.

Educare i nostri figli ad avere un rapporto sano con le armi, con i propri disagi e, in definitiva, con l’intera vita ne comporta, però, ancora di più.