Dal giudice Mori, un atto inopportuno

L’ex magistrato Edoardo Mori spiazza tutti denunciando il recepimento della direttiva alla Commissione europea L’ex giudice Edoardo Mori, noto agli appassionati per la sua attività di tutela del settore in particolar modo contro le paranoie del ministero, ha intrapreso una iniziativa che ha lasciato tutti di sasso: una vera e propria denuncia alla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano, per non aver a suo avviso adempiuto correttamente all’obbligo di recepimento della direttiva 2017/853. In sostanza, gli strali del noto giudice si concentrano in particolare sulla disciplina delle armi comprese nella categoria A6 e A7, che secondo il testo del ricorso, sarebbe in pratica stata recepita in modo troppo morbido, ignorando specifici obblighi previsti dalla direttiva medesima, sia per quanto riguarda la modalità di possesso delle armi, sia per quanto riguarda le modalità di custodia.
Se da un punto di vista del tutto teorico e per amore di filosofia, le osservazioni di Mori possono essere anche legate a un fondamento di verità, occorre tuttavia ricordare due aspetti molto importanti: il primo, è che comunque ha poco senso creare uno stravolgimento profondo (più profondo di quanto sia già stato fatto) rispetto al regime giuridico precedente quando l’atto fondante di tale stravolgimento (cioè la direttiva) è comunque tuttora soggetto a una procedura di ricorso presso la corte europea di giustizia (il ricorso fu presentato dalla Repubblica ceca e vi si associò la Polonia); lo Stato italiano, malgrado ciò, era comunque tenuto a provvedere al recepimento perché la corte di giustizia europea non aveva sospeso l’efficacia dell’atto nell’attesa del giudizio di merito.
Il secondo aspetto fondamentale è che anche una direttiva europea deve comunque rispettare i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano e, a nostro avviso, sottoporre la facoltà di possedere determinate armi non soltanto (come previsto dal recepimento) a una iscrizione a una federazione sportiva, ma anche a un effettivo esercizio del tiro rappresenta un qualcosa di fortemente illegittimo e contrastante con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Pensiamo, tra l’altro, al fatto che la direttiva medesima non abbia in alcun modo previsto una procedura derogatoria per i tiratori sportivi che si trovino (per esempio) nella condizione di dover sospendere l’attività per un anno o più a causa di un infortunio. È vero che la direttiva prevede un riesame della situazione del tiratore sportivo ogni cinque anni anziché ogni anno, ma è altrettanto evidente che esista una ben precisa casistica nella quale sia possibile prevedere un ritiro della qualifica di “tiratore sportivo” per motivi contingenti, che comporterebbe inevitabilmente un obbligo di disfarsi delle armi in questione, salva la possibilità (onerosa e assolutamente non scontata nella concessione) di chiedere la specifica licenza di collezione.
Dispiace, più di tutto, constatare che ancora una volta il nostro settore inteso nel suo complesso abbia perso una ulteriore opportunità di dimostrarsi unito, anziché composto da una molteplicità di soggetti che agiscono in modo del tutto indipendente e scollegato rispetto agli altri.