“Via gli sport del tiro dall’Olimpiade”

La proposta shock è giunta quest’estate dopo l’eccidio di Dayton: autore un giornalista sportivo statunitense, Alan Abrahamson, che fa parte della commissione stampa del Cio

Il bello della libertà di stampa e di parola, è che chiunque può dire, e diffondere, ciò che gli passa per la testa. Una volta, però, tutto sommato l’eco e il seguito di determinate affermazioni che venivano diffuse a mezzo stampa, avevano una importanza quantomeno proporzionale all’autorevolezza della fonte dalla quale provenivano. Nei moderni tempi di Internet, sembra che tutto si sia livellato e che qualsiasi affermazione assuma una importanza decisamente sproporzionata rispetto ai suoi reali meriti. Questa potrebbe essere la sintesi delle affermazioni fatte quest’estate, dopo la strage avvenuta a Dayton, in Ohio, da parte del giornalista sportivo statunitense Alan Abrahamson, il quale ha addirittura proposto di togliere dai giochi olimpici gli sport del tiro. Affermazione che non meriterebbe neanche un moto del sopracciglio, quanto ad assurdità, se non fosse che lo stesso Abrahamson fa parte della commissione stampa del Comitato olimpico internazionale. Ecco perché per rintuzzare le sue affermazioni si è scomodato nientemeno che il nuovo presidente dell’Issf, Vladimir Lisin.

Nell’articolo di Abrahamson si assiste ad agghiaccianti (quanto a imbarazzante mancanza di senso logico) parallelismi tra le armi di “aspetto militare” utilizzate nei mass shooting e le armi utilizzate nei giochi olimpici, per arrivare ad affermare che “le autorità olimpiche possono assumere la guida in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti, per l’esercizio di una adeguata leadership morale e simbolica per fare il più possibile per tenere lontane le armi da quelle persone che desiderano uccidere il maggior numero di persone possibile il più violentemente possibile e il più rapidamente possibile”. Abrahamson afferma di conseguenza che “il simbolismo nell’indicare e usare una pistola è in diretto contrasto con tutto ciò che riguarda le olimpiadi”, che “l’uso delle armi non è sostenibile dal punto di vista ambientale e la sostenibilità è un tema olimpico chiave” e che “le olimpiadi non dovrebbero essere un veicolo per promuovere l’uso delle armi”.

Affermazioni che hanno, giustamente, suscitato l’indignazione nel mondo degli atleti. La replica di Lisin non si è fatta attendere: “per gli attivisti, oggi le opportunità per cercare di mettere al bando un qualsiasi sport olimpico o i giochi olimpici in generale sono illimitate. La vita e la salute umane sono le cose più importanti al mondo. In ogni caso, ben difficilmente qualcuno si metterebbe a proporre la messa al bando degli aeroplani o delle automobili, o a proporre la messa al bando dello zucchero per la tutela dei diabetici. E quanti criminali possono vantare di aver avuto esperienze nell’atletica, nella boxe o nel wrestling? In questo contesto, gli sport olimpici del tiro sono un paragone irrilevante. Non si riesce ad attivare alcun collegamento mentale che possa collegare gli sport del tiro alle rapine in banca o alle tragedie negli istituti scolastici. Soprattutto, l’impiego criminale di armi ad alta capacità non ha nulla a che fare con gli sport olimpici nei quali sono coinvolti milioni di individui rispettosi della legge, in ogni continente. Perché, quindi, si cerca di deviare la pubblica opinione per cercare di mistificare le reali ragioni che stanno dietro alle tragedie connesse alle armi? La rivendicazione dei diritti civili non è più popolare come un tempo, o quantomeno non comporta alcuna ricompensa. D’altro canto, è facile attaccare i diritti degli atleti e deviare l’attenzione all’interno del movimento olimpico. La popolarità è la motivazione principale degli autori di queste iniziative “di massa”. Il processo è tutto, il risultato è niente, anche se persone innocenti possono avere a soffrire per questo”.

Ci sia consentita una semplice considerazione: gli sport del tiro, tra gli sport olimpici, sono tra quelli che consentono la maggior longevità agli atleti: questo significa, per esempio, che genitori e figli potrebbero trovarsi sulla stessa pedana a contendersi una medaglia, su un piano di perfetta parità. Esiste una distinzione netta tra le olimpiadi per normodotati e quelle per atleti paralimpici, ma gli sport del tiro sono, tra le specialità olimpiche, quelle che maggiormente consentirebbero una sfida alla pari tra portatori di handicap e atleti normodotati. Gli sport del tiro sono, tra le attività sportive, quelle nelle quali il doping è meno presente (tanto da essere praticamente sconosciuto) e quelle nelle quali è sconosciuto il fenomeno degli “ultrà” e del vandalismo a esso associato. L’elenco sarebbe ancora lungo, ma già soltanto per queste qualità, ci permettiamo di affermare che no, noi non ci vergognamo degli sport del tiro. Qualcun altro, forse, dovrebbe vergognarsi per ciò che scrive.