Sparatoria a Sacramento, riparte il tam-tam anti armi, ma…

Il più recente tra i mass shooting verificatosi negli Stati Uniti è quello che ha avuto luogo domenica scorsa a Sacramento, la capitale dello Stato della California, a pochi passi dal Campidoglio, il palazzo cioè dove hanno sede le principali autorità statali, dal Parlamento al governatore.

Il bilancio è grave, 6 persone uccise (tre uomini, tre donne), 12 ferite. I contorni della vicenda ancora non sono chiarissimi, si parla addirittura di più tiratori presenti sul posto, ancora non catturati né identificati, e di un’arma recuperata sulla scena del crimine, che risulterebbe rubata.

Politici e commentatori si sono immediatamente scagliati contro l’ennesimo orrendo atto di violenza commesso con armi da fuoco, a partire dal governatore Gavin Newsom, fino al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, chiedendo ovviamente un ulteriore inasprimento della normativa sul possesso legale di armi entro i confini dello Stato e a livello federale.

C’è, tuttavia, un aspetto che altri commentatori hanno sottolineato in queste ore ed è quello secondo il quale la California, in realtà, già possiede la legislazione in materia di armi più severa di tutti i 50 Stati dell’Unione e, soprattutto, che ha già integrato, in alcuni casi da anni, nella propria legislazione nazionale tutti i punti dell’agenda delle associazioni e organizzazioni anti-armi americane: dalla messa al bando delle cosiddette “armi d’assalto”, con relativi caricatori ad alta capacità, al divieto di vendita di armi e munizioni senza uno screening preliminare sugli eventuali motivi ostativi all’acquisto, non solo per le armerie ma anche nelle fiere specializzate, e così via. Tra l’altro è interessante notare che proprio l’oggetto degli strali del presidente Biden, cioè le cosiddette “ghost guns”, cioè le pistole realizzate a domicilio acquistando componenti semilavorate ed effettuando a casa propria le operazioni rimanenti, già sono oggetto di leggi restrittive secondo la normativa californiana e di singole contee (come quella di San Diego), che hanno implementato una serie di limitazioni e procedure per consentire la commercializzazione in modo tracciabile.

Tracciabilità che, in fin dei conti, non deve aver funzionato poi così bene se si considera che ben il 65 per cento di tutte le “ghost guns” sequestrate dal bureau of alcohol, tobacco and firearms nei 50 Stati americani provengono proprio dalla California. Nella sola città di Los Angeles, le ghost guns sequestrate hanno registrato un aumento del 300 per cento tra il primo semestre 2021 e lo stesso periodo 2020, nella città di San Francisco l’aumento di ghost guns sequestrate nel 2020, rispetto al 2016, è stato del 2.600 per cento (164 contro 6).

La California sembra, quindi, riproporre entro i propri confini le stesse problematiche che si sono riscontrate negli scorsi anni e decenni in molti Paesi del Sudamerica che, a fronte di una normativa estremamente restrittiva sul possesso legale di armi, continuano a presentare endemicamente un grave problema di armi realizzate clandestinamente. Sembra quindi confermarsi, purtroppo, che al di là della ricerca della “soluzione facile” per risolvere il bagno di sangue nelle città americane, orientata in modo pressoché esclusivo sulle restrizioni in materia di armi, per sortire qualche effetto concreto sia necessario più che altro operare sulle disuguaglianze economiche, sociali e di istruzione che riguardano fasce sempre più ampie della popolazione.