“Ipotizzare” di difendersi non può costare il porto d’armi

Il Tar sconfessa la prefettura di Alessandria, che aveva tolto il porto d'armi a un imprenditore perché aveva solo "ipotizzato" di usare le armi per difendersi in caso di intrusione Prefettura di Alessandria soccombente e condannata al risarcimento delle spese di giudizio: è questo l’esito di un procedimento davanti al Tar per una vicenda a dir poco grottesca iniziata nel 2015, allorché un imprenditore di Gavi, Emilio Carbone, era stato derubato di due pistole legittimamente detenute da parte di ladri che si erano introdotti nella sua abitazione svellendo una inferriata e spaccando la cassaforte nella quale erano custodite. L’autorità di pubblica sicurezza, bontà sua, dopo quanto accaduto aveva pensato bene (cioè male, secondo i giudici) di ritirare il porto d’armi al malcapitato, argomentando che si ravvisava “la mancanza di garanzie necessarie per il mantenimento dei requisiti di completa affidabilità per il possesso delle armi”, sul fatto che Carbone aveva motivato la detenzione delle armi con presunti rischi per l’incolumità personale, derivanti dal fatto di abitare in una villa fuori dal centro abitato, più volte presa di mira dai ladri. Igiudici amministrativi hanno, però, dato ragione all’imprenditore: la motivazione della Prefettura è “illogica e contraddittoria” in quanto Carbone aveva solo ipotizzato l’uso delle armi per difendersi. Inoltre, le pistole erano custodite regolarmente dentro la cassaforte, e le munizioni rubate erano di una terza arma da fuoco, detenuta altrove. I giudici hanno messo nero su biano che “non può ragionevolmente tacciarsi di inaffidabilità chi soltanto ipotizzi di utilizzare un’arma legittimamente detenuta, per difendere se stesso o i propri famigliari da eventuali aggressioni nel proprio domicilio, entro i limiti della legittima difesa”.