I costi (irrazionali) dell’influenza aviaria

Secondo i calcoli della Banca mondiale, il virus H5N1 avrà un costo complessivo di oltre 550 miliardi di dollari e buona parte di questi danni saranno conseguenza di comportamenti irrazionali, in tutti i settori.Sapremo forse meglio quantificare in seguito il tributo a carico del settore economico legato all’attività venatoria in Italia, ma le notizie non sono certo buone: agenzie specializzate in caccia all’estero hanno subito gravi ripercussioni, i cacciatori di alc… Secondo i calcoli della Banca mondiale, il virus H5N1 avrà un costo complessivo di oltre 550 miliardi di dollari e buona parte di questi danni saranno conseguenza di comportamenti irrazionali, in tutti i settori. Sapremo forse meglio quantificare in seguito il tributo a carico del settore economico legato all’attività venatoria in Italia, ma le notizie non sono certo buone: agenzie specializzate in caccia all’estero hanno subito gravi ripercussioni, i cacciatori di alcune regioni sono stati sconsigliati a esercitare l’attività o a esercitarla con precauzioni quantomeno opinabili, il commercio di armi e munizioni ha rallentato decisamente. Comportamenti irrazionali per davvero, anche perché il fenomeno non è proprio nuovo: si pensi che il danno economico dagli anni Novanta per la diffusione di malattie infettive negli animali domestici è stato calcolato in 80 miliardi di dollari, quando un terzo del mercato mondiale della carne fu sottoposto a embargo a causa di Bse, influenza aviaria e altre malattie e con oltre 140 milioni di polli eliminati in Asia. È anche noto che dal 17 dicembre 1999 al 5 aprile 2000 il settore avicolo italiano è stato interessato da una delle più gravi epidemie di influenza aviaria mai manifestatesi in Europa, con insorgenza di 413 focolai di infezione, per la maggior parte localizzati in aree a elevata densità zootecnica del Veneto e della Lombardia. Circa 16 milioni di volatili domestici sono venuti a morte o sono stati abbattuti e distrutti al fine di eradicare l’infezione, con un danno economico diretto (indennizzi e spese per l’ estinzione dei focolai) pari a più di 110 milioni di euro. A tali costi devono essere aggiunte le perdite economiche di tipo indiretto, pari a circa 400 milioni di euro, correlate alla limitazione o al blocco, per diversi mesi, della normale attività produttiva e commerciale dell’industria avicola. Negli anni successivi si sono verificate altre epidemie, per costi pari a circa 50 milioni di euro. In questo quadro a tinte fosche che vede comunque lontano il pericolo di insorgenza della pandemia in Europa, Louise Fresco, della Food and agricolture organization (Fao), ha espresso pubbliche lodi all’Italia per l’efficienza dei controlli veterinari e i piani di prevenzione. Ben 800 finora i test compiuti sugli uccelli selvatici che potrebbero veicolare il virus a quelli domestici, con esiti tutti negativi. Ma questo non basta a frenare la psicosi che ha portato gli italiani a rinunciare, in pratica, a nutrirsi di carne di pollo. «Comportamento irresponsabile ed emozionale», ha commentato Margareth Chan, responsabile della pattuglia dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle malattie trasmissibili. «Abbiamo a che fare con un virus fragile, che si trasmette per via aerea. Se anche la carne fosse infetta basterebbe cuocerla per renderla innocua».