Fu falso allarme…

Il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, ha candidamente dichiarato: «Forse abbiamo creato più panico noi intervenendo che quel povero papà». Considerazioni sulle armi, i media e la difesa legittima dopo i “fatti” della stazione Termini.

Leggo la notizia del pizzaiolo che avrebbe seminato il panico per aver camminato per la Stazione Termini di Roma portando in mano un fucile giocattolo con tanto di tappo rosso. Di questa notizia mi hanno sconcertato due aspetti: 1. che la forza pubblica sia stata mobilitata in massa per ore con tanto di evacuazione della Stazione; 2. che, dopo ore di inutili ricerche di un tale, vestito anche in modo appariscente, l’identificazione di quel normale cittadino sia avvenuta solo grazie a un carabiniere che incontratolo e chiesti lumi sul giocattolo, ne aveva constatato la perfetta rispondenza ai requisiti di legge, senza intimare l’altolà, arma alla mano. Il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, ha candidamente dichiarato: «Forse abbiamo creato noi più panico noi intervenendo che quel povero papà».

Ma andiamo! Solo un mentecatto può pensare che un terrorista si rechi sul luogo prescelto per compiere un attentato col fucile armacollo e, comunque, che non agisca rapidamente, trattandosi magari di un pazzo che nel/i caso/i di specie mantiene pur sempre anche troppa lucidità operativa, per quanto è dato sapere. Ecco però che con mossa franca (?), di fronte all’emergenza, vien fatto scattare l’apparato di protezione, sulla cui efficacia facciamo calare un pietoso velo di silenzio o, a scelta, una crassa risata.

Quanto alla “emergenza” armi, vien fatto di credere che sia in atto da tempo una sorta di congiura perpetrata dalla lobby dei politici (assolutamente trasversale) alleata a quella dei burocrati, che rappresentano di sicuro le categorie maggiormente detestate e detestabili della nostra società in disfacimento, le quali lobbies ben potrebbero temere gli effetti dell’esasperazione dei miti e onesti cittadini, specie ora che l’imperversante crisi economica continua a mietere vittime tra coloro che costituiscono/vano il benpensante ceto medio.

Ecco dunque che i potentati della Repubblica si adoperano con dedizione degna di miglior causa a contrastare il possesso e l’impiego delle armi da fuoco: forse nei confronti di criminali e terroristi? Nossignore! Sono i cittadini armati che fanno paura ai sodali dei predetti potentati.

Ma come? Si è osannata e si glorifica la resistenza che costituiva la cittadinanza onesta che si armò debellando la dittatura e conquistando l’Italia alla democrazia. Non dovrebbe dunque, per la salvaguardia delle conquiste democratiche, auspicarsi e promuovere la detenzione e l’allenamento all’uso delle armi da parte dei cittadini onesti, appunto?

Invece siamo costretti quasi quotidianamente a vedere, ascoltare o leggere gli sproloqui di ignorantissimi giornalisti dalle anime candide che, inorriditi, citano con inadeguata enfasi l’Ak47 attribuendogli potenza e letalità seconde solo a quelle della bomba all’idrogeno; per non parlare del mitico fucile a pompa, come se “pompando” si incrementasse a dismisura la forza distruttiva di una cartuccia calibro 12.

Ci mancavano solo le ripetute stragi d’oltreoceano e la campagna contro le armi da fuoco promossa da Barack Obama e celebrata come la panacea dei mali indotti dall’umana violenza a opera degli stessi angioletti della comunicazione di casa nostra. La verità è che, in attesa di un governante come lo splendido Mr. Greg Abbott del Texas, che ha promulgato una legge per cui chiunque è abilitato a portare armi da fuoco, purché visibili, saremo costretti a subire e chissà ancora per quanto tempo, le vessazioni di chi vuole gli italiani imbelli e sottomessi. Oggi, vigliaccamente accettiamo supini che venga imprigionato ed espropriato dei suoi beni, chi abbia efficacemente difeso il proprio buon diritto e l’incolumità sua e dei suoi cari, all’insegna di una distorta impostazione ideologica del vivere civile e della giustizia, per cui il delinquente è, prima di tutto, una vittima della nostra opulenta ed egoistica società capitalista.

In assenza di norme che, senza se e senza ma, salvaguardino l’onesto dal malfattore, dobbiamo tremare alla sola idea che una persona trovatasi a fronteggiare l’intrusione violenta di criminali nella propria sfera privata venga sottoposta al giudizio di chi mai ha vissuto una simile disavventura. Da notare che analoga sorte tocca regolarmente ai militari e ai membri delle forze dell’ordine, i quali, puntualmente, finiscono per dover rispondere in un processo delle azioni compiute sul campo, dove, ancora una volta, se vi sia stato o meno qualche eccesso viene giudicato nell’ottica cavillosa del leguleio e mai con la ragione dell’esperienza da chi si sia realmente trovato in analoga situazione.

Infatti, l’esser stato in serio pericolo da fronteggiare con un’arma rende una persona in grado di sapere e di capire quali reazioni si scatenano nella mente e nel corpo umano, altrimenti non possono che venir espresse inutili congetture e incongruenti conclusioni, il più delle volte.

Chi abbia a cuore l’autentica libertà bisogna che si sobbarchi l’onere di lottare per ottenere il rispetto dovuto ai tantissimi galantuomini che manifestano il proprio senso civico assoggettandosi comunque a normative spesso vessatorie, riconoscendo loro con una legge che non ammetta cervellotiche interpretazioni il sacrosanto diritto di difendere efficacemente se stessi, i propri congiunti e i propri patrimoni, ogniqualvolta lo stato non si dimostri in grado di svolgere tale imprescindibile funzione, preventivamente e tempestivamente, usando la forza pubblica.

È assai probabile che per il criminale la consapevolezza di rischiare la vita senza avere la certezza di poter mettere le grinfie su un ricco bottino, rappresenti il miglior deterrente; dunque ben venga il giorno in cui fosse davvero il malavitoso a dover dimostrare in un processo l’assoluta illegalità della scarica di pallettoni che l’ha inchiodato ad una carrozzina ortopedica, quando risulti che la difesa sia stata posta in essere nell’ambito della sfera privata dell’aggredito. (Giorgio Bigarelli)