Confavi: sull’articolo 38 della Comunitaria, nessuna unità di intenti tra le associazioni

La presidente di Confavi, Maria Cristina Caretta, stigmatizza la mancanza di unità tra le associazioni venatorie sulla proposta emendativa dell’articolo 38 della legge comunitaria

Ecco il testo del comunicato diramato dalla Confavi, sulla mancanza di unitarietà nel sostegno al testo emendativo dell’articolo 38 della legge comunitaria approvato dal Senato e “stoppato” dai ministri Brambilla e Prestigiacomo.

“Le associazioni venatorie italiane non vengono ascoltate dalla politica perché non sanno parlare con un’unica voce. La discussione sulla “legge Comunitaria” ne è uno dei tanti esempi. Ci siamo trovati a Bologna il 3 marzo 2010 assieme alle associazioni venatorie della FACE Italia, su iniziativa del CNCN e dell’ANPAM, per concordare un testo di compromesso sull’art. 38 della comunitaria uscito dal Senato, tentando di trovare una via d’uscita al veto posto dal ministro Brambilla e dal Ministro Prestigiacomo.

Abbiamo analizzato la proposta avanzata dall’on. Sergio Berlato e sottoposta all’attenzione di tutte le associazioni venatorie e del mondo economico che gravita attorno alla caccia.

Abbiamo unanimemente concordato che quel testo era un adeguato punto di equilibrio, sia per uniformare la normativa italiana alle direttive europee, sia per togliere ai nostri avversari il pretestuoso slogan della “caccia no limits”. Tutti i presenti si sono presi l’impegno di sostenere questa proposta emendativa.

Il testo dell’emendamento all’art. 43 della comunitaria (ex art. 38) è stato presentato alla Camera da un elevato numero di deputati delle varie forze politiche. Mentre facevamo azione di informazione e di persuasione nei confronti dei vari deputati e dei ministri, siamo venuti a conoscenza che alcuni componenti del tavolo di Bologna trattavano con alcuni deputati, sostenendo un altro emendamento di compromesso che non solo non sarebbe utilizzabile dalle regioni per applicare il concetto europeo delle cacce per periodi e per specie, ma che aprirebbe la falla attraverso la quale gli anticaccia effettuerebbero incursioni per ridurre i calendari venatori regionali, rendendo vincolante il preventivo parere dell’ISPRA, rendendo altresì inapplicabile da parte delle regioni il regime di deroga previsto dall’art. 9 della Direttiva CEE 409/79.

Come possiamo pensare che la politica ascolti il mondo venatorio italiano se le associazioni continuano a rivolgersi ai partiti in modo disunito, utilizzando lingue diverse tra loro?

Molti ritengono che i nemici della caccia siano annidati nei partiti di centro sinistra, altri ritengono che anche il centro destra sia inaffidabile. Noi riteniamo che la colpa principale stia nell’associazionismo venatorio italiano, così diviso e così disorganizzato da renderlo inaffidabile per qualsiasi forza politica.

Quando parliamo dell’esigenza di riformare l’associazionismo venatorio italiano , ci riferiamo alla necessità, oramai improcrastinabile, di rendere credibile la rappresentanza del mondo venatorio italiano. I dirigenti venatori italiani non hanno mai voluto e non vorranno mai unire il mondo venatorio italiano perché hanno troppi interessi a mantenere ognuno la propria parrocchietta privata. L’unità dei cacciatori italiani, e la riacquisizione di una perduta credibilità, passa inevitabilmente attraverso lo smantellamento dell’attuale sistema associativo e la ricomposizione di un’unica rappresentanza del mondo venatorio italiano, alleata a tutte le realtà economiche e sociali portatrici della Cultura rurale. Questa, per Confavi, è l’unica via percorribile per ridare dignità e credibilità al mondo venatorio italiano.

Alcuni cacciatori sono titubanti nell’abbandonare la propria associazione di appartenenza, pensando ai vantaggi  che perderebbero in conseguenza di questa scelta. A costoro chiediamo: che vantaggio trae un cacciatore dall’appartenere ad una delle vecchie associazioni riconosciute? Qual è il ritorno economico per un cacciatore dal fatto che la propria associazione riceva il finanziamento pubblico derivante dall’addizionale delle vecchie 10.000 lire che ogni cacciatore è costretto a pagare per l’obbligo imposto dalla 157/92 e preteso dai dirigenti venatori della defunta Unavi? Quanti cacciatori aderenti ad un’associazione venatoria riconosciuta vengono inseriti nei comitati direttivi degli ATC e dei Comprensori Alpini? Qual è il vantaggio per un cacciatore nel finanziare con la propria tessera associativa la propria associazione venatoria se questa, in tanti anni, non ha mai prodotto nulla di buono per la caccia se non vantaggi per qualche dirigente venatorio?

Confavi ha iniziato la battaglia per la riforma dell’associazionismo venatorio italiano e non smetterà di combattere fino a quando non verrà sancita, o per scelta delle associazioni o per imposizione di legge o per scelta dei cacciatori, l’unificazione del mondo venatorio italiano”.