Caso Roggero: una riflessione su quanto accaduto

I carabinierii e la Scientifica sul luogo della rapina alla gioielleria Mario Roggero a Grinzane Cavour, Cuneo, 28 aprile 2021 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Il web e in particolare il mondo dei social vede, come sempre, tutto in bianco e nero. Così è anche per la vicenda di Mario Roggero, il gioielliere di Grenzane Cavour, nel cuneese, al quale la corte d’assise ha inflitto in primo grado una condanna a 17 anni di reclusione per aver inseguito fuori dal proprio negozio tre rapinatori e aver loro sparato addosso, uccidendone due e ferendo un terzo.

Così, ovviamente, si scatenano le tifoserie, tra coloro i quali affermano “meglio un brutto processo che un bel funerale”, altri che replicano “meritava l’ergastolo” e così via.

Per noi, il mondo in realtà non è in bianco e nero, bensì a colori e le sfumature di colore sono tantissime. Quindi, tralasciando il tifo da stadio e cercando di analizzare sia l’accaduto, sia gli elementi che compongono questa vicenda, vorremmo cercare di fare una riflessione pacata e non “urlata” come sembra che sia la regola nei giorni nei quali ci è toccato in sorte di vivere.

Partiamo dalla pena: 17 anni. Considerando che la condanna è per un duplice omicidio volontario e un tentato omicidio, nonostante sia superiore a quella proposta dal pubblico ministero (14 anni), in realtà non è a nostro avviso la più pesante che fosse possibile comminare. Può apparire paradossale ma, in realtà, a quanto pare le attenuanti riconosciute a Roggero, un peso l’hanno avuto.

Proseguiamo con l’analisi del fatto in sé e, quanto a questo, non possiamo fare a meno di correre con la memoria a un altro fatto del recente passato, che presenta alcuni elementi comuni: parliamo di Giovanni Petrali, non gioielliere, bensì tabaccaio, che nel 2003 subì una rapina, prese la pistola quando i rapinatori stavano uscendo dal suo negozio, sparò alcuni colpi al loro indirizzo, quindi li inseguì nella centrale piazzale Baracca e sparò altri colpi, uccidendo uno di essi e ferendo l’altro. Una dinamica, se non identica, quantomeno simile a quella di Roggero. Ma con esiti giudiziari assolutamente diversissimi. Petrali infatti fu condannato, sì, in primo grado, ma per omicidio colposo e lesioni colpose, in quanto (secondo i giudici di primo grado) l’anziano commerciante era incorso in un errore di percezione perché “sconvolto” dalla rapina appena subita. In appello, la sentenza è stata per di più ribaltata, riconoscendo la scriminante della legittima difesa. Secondo i giudici di secondo grado, infatti, tanto con i colpi esplosi all’interno del negozio, quanto con i colpi esplosi fuori dal negozio, il tabaccaio stava agendo nell’ambito di una percezione di pericolo per sé, per la moglie e per il dipendente, ricorrendo in tale circostanza la cosiddetta “legittima difesa putativa”.

È chiaro che se i giudici di primo grado, nel caso di Roggero, hanno determinato una condanna per omicidio volontario, non hanno riscontrato il sussistere di similitudini rispetto alla vicenda di Petrali.

È chiaro ed evidente che la scriminante della legittima difesa operi nel momento in cui un soggetto sia sotto una minaccia attuale per la propria vita o per la vita di altre persone. Occorre tuttavia chiedersi se, e in quale misura, un soggetto che abbia avuto una pistola puntata alla testa fino a un minuto prima (con tanto di “conto alla rovescia”, secondo quanto dichiarato dallo stesso Roggero), possa essere sufficientemente lucido da valutare con il famoso bilancino il momento esatto nel quale la minaccia sia cessata e arrestare nello stesso momento, fulmineamente, la propria reazione.

Non è un caso che proprio la riforma dell’istituto della legittima difesa introdotta nel 2019 abbia contemplato il concetto di “grave turbamento” nell’escludere l’eccesso colposo di legittima difesa. A questo punto occorre tuttavia chiedersi in quale modo possa essere valutato questo “grave turbamento”: apparentemente, a far decidere i giudici di primo grado per la condanna, nel caso di Roggero, è stata determinante la dinamica raccontata dal filmato delle telecamere, dinamica paragonata dal pm a “una esecuzione”. Dinamica che, tuttavia, ben poco è in grado di raccontare circa lo stato d’animo effettivo che animava in quel momento il gioielliere. Il quale, peraltro, era già stato vittima di una rapina estremamente violenta pochi anni prima. E non si può certo affermare che fatti del genere non lascino il segno.

Tutto questo per dire cosa? Semplicemente che non tutto è bianco o nero, che in un frangente come quello l’elemento psicologico soggettivo ha un peso molto rilevante e che, a seconda dei giudici e dei tribunali, è anche possibile che ne venga tenuto conto (tra l’altro l’assoluzione di Petrali è avvenuta prima della riforma del 2019…).

Gli avvocati di Roggero hanno (ovviamente) annunciato ricorso in appello, sarà il tempo a stabilire come andranno veramente le cose ed è giusto che i processi si facciano dove è il loro luogo preposto, cioè le aule di tribunale.

L’importante, oggi come oggi, è rendersi conto che le cose sono talvolta meno semplici, meno ovvie e meno banali di come appaiano a prima vista e di come si pretenda di raccontarle.

L’auspicio è sempre quello che a nessuno di noi tocchi in sorte di vivere ciò che a Roggero, a Petrali e a tanti altri cittadini è toccato in sorte di vivere. Prima, durante e dopo.