Taser: meglio la “tortura”… o la morte?

L’ipotesi di dotare presto le forze dell’ordine del Taser scatena le polemiche dei benpensanti sul web, che denunciano: “è uno strumento di tortura”
Dopo l’annuncio del capo della polizia Gabrielli sull’imminente ingresso in servizio anche in Italia degli storditori elettrici Taser per le forze dell’ordine (peraltro la procedura per l’adozione è in atto ormai dal 2014) si sono risvegliati, come era prevedibile, anche i detrattori dell’uso di questo strumento di autodifesa non letale per le forze di polizia (addirittura LeU ha presentato una interrogazione parlamentare al riguardo), i quali basano le proprie argomentazioni innanzi tutto su una pronuncia delle Nazioni unite del 2007, nella quale il Taser è stato dichiarato “strumento di tortura” in quanto capace di produrre “un intenso dolore” e per il fatto che “può anche causare la morte, come diversi studi affidabili hanno dimostrato e come si è evidenziato nell’impiego pratico”.
Il che, obiettivamente, può voler dire tutto o niente: il Taser è capace di infliggere acuto dolore? Sicuramente sì, considerando il fatto che la sua utilità nell’utilizzo di polizia consiste nella sua capacità di immobilizzare un soggetto mandando in tilt i suoi riflessi muscolari tramite un impulso elettrico. E un colpo di pistola, è in grado di infliggere dolore? Siamo altrettanto certi di sì, pur non avendo fortunatamente avuto l’occasione di sperimentarlo di persona. Il Taser può provocare la morte di un soggetto? Sì, è possibile: un soggetto con determinate patologie cardiovascolari, anche non da lui conosciute, può senza dubbio trovarsi in una situazione di rischio nel caso in cui venga colpito dagli elettrodi di un Taser. E un colpo di pistola, è in grado di uccidere? Anche in questo caso, pur mancandoci (ri-per fortuna) una esperienza diretta, crediamo di non poter essere smentiti se diciamo sicuramente di sì. La differenza è, semplicemente, che in determinate circostanze nelle quali è autorizzato l’uso della forza da parte degli operatori delle forze dell’ordine, in modo particolare quando l’opponente (vedi recente esempio di Genova) è per esempio in possesso di uno strumento da punta o da taglio, l’uso del Taser consente da un lato all’operatore di evitare il contatto fisico (che può rivelarsi letale per l’agente), ma dall’altro consente di immobilizzare il soggetto armato, con un rischio infinitamente più basso di decesso o di invalidità permanente rispetto a quello dell’arma da fuoco. È un dato di fatto che se gli agenti di Genova avessero avuto il Taser, probabilmente l’ecuadoriano che ha cercato di ucciderli a coltellate oggi sarebbe ancora vivo, mentre adesso è morto. Il discorso si ripropone allo stesso modo anche nel momento in cui gli operatori siano costretti a intervenire per immobilizzare un soggetto fuori di sé, utilizzando le nude mani: al di là del fatto che un contatto fisico diretto espone gli operatori al rischio di ricevere a propria volta lesioni anche gravi, l’intervento a mani nude non presenta affatto meno rischi rispetto al Taser, come ha purtroppo evidenziato, tra gli altri, lo sfortunato caso del ferrarese Federico Aldrovandi, morto per asfissia dopo un tentativo di contenzione da parte degli agenti intervenuti per bloccarlo mentre si era scagliato contro di loro, a causa di uno stato di alterazione dovuto all’assunzione di stupefacenti. Anche in questo caso, molto probabilmente, Aldrovandi sarebbe ancora vivo se gli agenti fossero stati in possesso del Taser, perché non sarebbero stati necessari contatti fisici rivelatisi, poi, tragicamente fatali. Quindi, a questo punto, l’interrogativo da porsi e sul quale riflettere è: nel momento in cui la difesa dell’incolumità pubblica richiede alle forze dell’ordine di intervenire per bloccare un soggetto, è meglio la tortura… o è meglio la morte?