Pietta Saa 1873 calibro .44 magnum

Pietta ha realizzato la versione magnum del suo collaudato 1873: impugnatura maggiorata (è quella del 1860 ad avancarica), guance zigrinate, cane ridisegnato e transfer bar per gestire le “cannonate” in scioltezza. La precisione è davvero appagante

I revolver ispirati al leggendario Colt Single action army 1873 sono sempre richiestissimi da parte del pubblico degli appassionati della saga del West americano, e non solo. Se ai puristi potrà sembrare una bestemmia anche solo azzardare una cameratura diversa dai classici .45 Colt e .44-40 Winchester, è un dato di fatto che da decenni, ormai, esistono revolver Single action in calibri ben più potenti, che conquistano sia i cacciatori con l’arma corta (chi può), sia in generale i patiti del “botto”. Lo schema meccanico del revolver Colt 1873 offre, infatti, la solidità strutturale di una cassaforte, rusticità, semplicità d’uso, affidabilità e durata.

Mentre, però, per calibri veramente “fuori misura” è generalmente necessario ricorrere a telai progettati ad hoc, il mitico .44 magnum è il primo (e, nonostante tutto, ancora il più amato) dei grossi calibri a poter essere digerito dalle dimensioni del telaio standard 1873, seppur in alcuni casi con determinati accorgimenti. Ecco perché la Fap Pietta di Gussago (Bs) ha avuto la bella idea di inserire anche il .44 magnum tra le camerature disponibili per la sua replica Saa 1873.

 

Quasi uguale

I revolver 1873 di Pietta hanno una lunga tradizione di gradimento presso i Cowboy shooter americani e non solo. La disponibilità del calibro .44 magnum, però, porta quest’arma su un livello completamente diverso e nuovo, rendendolo idoneo sia all’attività venatoria, ove consentito, sia più in generale agli appassionati di tiro con la pistola di grosso calibro. In altre parole, il nuovo 1873 in calibro .44 offre la possibilità di divertirsi con un calibro semplicemente mitico, offrendo una piattaforma robusta, ben dimensionata, controllabile e, perché no, assolutamente economica.

La base di partenza è, ovviamente, il 1873 di serie, già offerto da lungo tempo in commercio nei calibri .44-40, .45 Colt e .357 magnum. Il telaio, realizzato dal pieno da forgiato, utilizza esattamente gli stessi acciai e le stesse dimensioni dei calibri minori, ma questo, come ci ha confermato Alessandro Pietta, contitolare insieme al fratello Alberto e al papà Giuseppe dell’azienda: «In realtà», ci ha confidato sorridendo, «non c’era alcun bisogno di prevedere irrobustimenti di sorta, perché i nostri 1873 già erano abbondantemente sovradimensionati, dal punto di vista degli acciai utilizzati, rispetto ai calibri finora previsti. L’unica modifica che abbiamo voluto introdurre è stata una differente tempra per il tamburo, allo scopo di fornire un ulteriore margine di sicurezza». In realtà, però, qualcosa di diverso rispetto al “vero” 1873 c’è: l’impugnatura in acciaio, vincolata al telaio per mezzo delle consuete viti posteriori e inferiori, è in realtà quella del revolver ad avancarica modello 1860, e rispetto a quella del 1873 originale risulta leggemente più lunga e sovradimensionata: un po’ d’aiuto per gestire con maggior comfort le bordate del .44 magnum non può certo guastare, e non si può dire che l’estetica sia risultata più di tanto stravolta. Sempre per garantire il massimo controllo del rinculo, i fianchi dell’impugnatura in legno di noce sono stati zigrinati a cuspidi fini, offrendo un grip veramente valido. Un’altra modifica importante è stata l’introduzione della transfer bar, quella leva a scorrimento verticale collegata al grilletto che consente di trasmettere l’urto del cane al percussore solo quando il grilletto è completamente premuto. In pratica, il vecchio sistema del percussore fissato direttamente al cane, che percuote l’innesco tramite un foro nello scudo posteriore del telaio, è stato sostituito da un percussore a grano imbussolato nel telaio e dotato di una propria molla di richiamo. Quando il cane è in posizione di riposo, la sua superficie anteriore presenta un “becco” superiore, che appoggia contro il telaio prima che la superficie principale possa entrare in contatto con il percussore. Solo dopo aver armato il cane, premendo il grilletto si causa sì la caduta di quest’ultimo, ma anche la contemporanea salita della transfer bar che, interponendosi tra il percussore e il cane, trasmette l’urto di quest’ultimo e, quindi, garantisce la partenza del colpo. La transfer bar, in realtà, non è una vera novità sul Pietta 1873, in quanto su richiesta di alcuni distributori esteri era già stata applicata ad alcuni lotti di revolver. Si è deciso di metterla di serie sul .44 magnum sia perché, oggettivamente, è un sistema di sicurezza veramente a prova di cataclisma, sia perché con un calibro di potenza relativamente elevata, il percussore imbussolato impedisce sfiati di gas all’indietro anche in caso di perforazione dell’innesco o altre magagne. Una scelta di ulteriore responsabilità, insomma. L’introduzione della transfer bar ha comportato anche una piccola modifica all’asse di rotazione del tamburo, che all’estremità posteriore porta adesso incorporato un pistoncino caricato a molla, che ha il compito di contrastare con la transfer bar medesima tenendola arretrata. Così facendo, quando la transfer bar si solleva, evita qualsiasi interferenza con la coda del percussore, che è inevitabilmente sporgente.

Ultima, ma anch’essa importante, modifica rispetto al 1873 vecchia maniera, la risagomatura della cresta del cane, che è diventata più larga e più bassa.

L’appeal generale è decisamente tradizionale: castello tartarugato; canna, fodero dell’espulsore a bacchetta e impugnatura in acciaio brunito lucido, come è quasi d’obbligo su una replica della peacemaker. Per fornire una ulteriore caratterizzazione all’arma, si sta valutando la possibilità di dotarla, come optional, anche di canna a profilo ottagonale, in alternativa al profilo tondo. Oltre ai 7,5 pollici (190 mm) dell’esemplare in prova, sono ovviamente disponibili le altre due lunghezze di canna tradizionali, cioè 4,75 (120 mm) e 5,5 (140 mm).

 

Mire e scatto

Gli organi di mira sono ancora quelli tradizionali, costituiti quindi dal classico mirino a pinna di pescecane (tanto per farci capire!) integrale alla canna, a cui fa riscontro la tacca di mira a “U” fresata sulla sommità del castello. Queste mire sono storicamente logiche e tutto sommato ben sfruttabili ancora oggi, come vedremo, ma presentano il difetto di essere difficili da regolare in caso di scostamento del punto di impatto in senso laterale (bisogna piegare il mirino, in pratica) e di non poter compensare la differenza nel punto di impatto in senso verticale in funzione della variazione del peso di palla e della velocità alla bocca. O meglio, se l’arma spara basso è senz’altro possibile dare una limatina al mirino, ma poi non si può più variare il tipo di cartuccia. Se l’acquirente è uno che spara munizioni commerciali standard, ovviamente non c’è alcun problema, se invece l’arma finisce tra le grinfie di un ricaricatore smaliziato, il problema si fa evidente. Ecco perché l’azienda sta studiando, accanto a questa versione standard, anche una versione con telaio flat top che possa essere dotato di tacca di mira regolabile o, addirittura, attacchi per l’ottica (o magari entrambi).

Per quanto riguarda lo scatto, l’introduzione della transfer bar ovviamente ha un piccolo prezzo da pagare rispetto allo scatto diretto, ma questo prezzo l’abbiamo trovato decisamente lieve, visto che al dinamometro Lyman lo sforzo totale è di circa 1.500 grammi, distribuiti su una corsa relativamente lunga ma pulita e netta. 

Abbiamo testato l’esemplare nel nostro tunnel interno all’azienda, sulla distanza dei 15 e dei 25 metri, utilizzando cartucce commerciali Fiocchi Sjsp di 240 grani (le .44 magnum per eccellenza, insomma). Al primo esame diretto l’arma si presenta molto ben finita nelle superfici a vista, mentre i punti non soggetti a lavoro e non visibili (per esempio, la porzione del telaio compresa tra la bussola del percussore e la base della tacca di mira) presentano segni di lavorazione che, però, non influiscono sulla funzionalità. Molto ben eseguita la zigrinatura delle guancette ed esente da critiche la linea di giunzione tra guancette, telaio e impugnatura. La zigrinatura del cane presentava invece qualche incertezza, ma ci è stato spiegato che si trattava di un componente di preserie. Abbiamo scelto di proposito la versione con canna più lunga, sia perché volevamo vedere quanto l’arma fosse in grado di “spingere” il .44 magnum commerciale, sia perché garantisce un maggior appruamento del baricentro e un peso complessivo superiore, a vantaggio della controllabilità.

Per prima cosa si porta il cane sulla mezza monta, sbloccando il dente di arresto del tamburo: si apre lo sportellino laterale e si introducono le cartucce una alla volta, quindi si fa nuovamente scattare in chiusura lo sportello di caricamento e l’arma è pronta al fuoco. Non resta che armare il cane dopo aver collimato il bersaglio. L’impugnatura riempie bene la mano, e il tipico profilo a manico d’aratro dà una sensazione di sicurezza, come stringere la mano a un vecchio amico. Il nuovo profilo della cresta del cane, che si intuisce a prima vista (tanto per dire, nel 1873 tradizionale se il cane è abbattuto la linea di mira è impedita, con questa versione invece no), consente un armamento veramente fluido con il pollice della mano debole (ricordiamo che non è igienico fare alla John Wayne e armare il cane con il pollice della mano forte, magari quando il ditino è già appoggiato sul grilletto). Il grilletto non è larghissimo, ma consente un appoggio stabile al polpastrello, per esercitare uno sforzo costante. Il primo colpo è salutato da un boato potente e da un’altrettanto potente fiammata, l’arma (come previsto) ruota verso l’alto grazie al profilo dell’impugnatura, con un movimento repentino ma non punitivo per l’incavo tra pollice e indice. Si percepisce l’acutezza delle cuspidi della zigrinatura, che grattano soprattutto i polpastrelli di medio e anulare. Ma d’altronde, una zigrinatura piatta non è una zigrinatura, e comunque l’attrito serve a far sì che il movimento rotatorio sia controllabile (e soprattutto dia la sensazione, di essere controllabile!). Le rilevazioni cronografiche, effettuate con cronografo Chrony a circa 2 metri dalla volata, hanno restituito una velocità media di poco superiore ai 400 metri al secondo, molto coerente con la velocità dichiarata dalla Fiocchi per le sue cartucce (435 m/sec), rilevata però in canna manometrica (che, oltre alla differente lunghezza, non ha certo alcun gap tra canna e tamburo…).

Malgrado gli organi di mira siano old style, non abbiamo trovato particolare difficoltà a collimare il barilotto nella penombra del tunnel, anche se una passatina di nerofumo alla parte posteriore della “pinna-mirino” può senz’altro aiutare. Giova precisare che l’arma è arrivata di fabbrica perfettamente tarata sul piano orizzontale (quindi non è stato necessario “strafugnare” il mirino), mentre sia a 15, sia a 25 metri, con le cartucce scelte il punto di impatto è risultato leggermente più basso del punto mirato (ma in tal caso, con una limatina si risolve, ben più grave sarebbe stato l’opposto). Una volta presa confidenza con lo scatto, i raggruppamenti sul bersaglio sono stati a nostro avviso di tutto rilievo: a 25 metri, su sei colpi ne abbiamo piazzati cinque nell’area del nove del bersaglio di Pistola standard. Considerando che era la prima volta che sparavamo con quest’arma (e considerando che ben difficilmente saremo selezionati per le specialità di Pistola alla prossima Olimpiade…), e in rapporto alla fascia di prezzo, possiamo affermare senza tema di smentita che si tratta di un riscontro semplicemente ottimo. L’espulsione dei bossoli è stata del tutto agevole: se si manovra la bacchetta dolcemente questi ultimi scivolano fuori dalle rispettive camere per i quattro quinti della lunghezza e possono essere afferrati con le dita e riposti, mentre se si manovra la bacchetta con un movimento secco, schizzano fuori e cadono per terra (fa molto ”una pistola per Ringo”, ma non si può fare a meno di farlo almeno una volta…). L’unico inconveniente che abbiamo riscontrato è stato un’impronta di percussione non decisissima, che in un paio di occasioni ha causato una mancata accensione. Il percussore, in effetti, se vi si appoggia contro la transfer bar protrude pochissimo dal telaio: è evidente che l’urto del cane lo “lancia” più in fuori di quanto possa sporgere con il semplice appoggio passivo della transfer bar, ed è altrettanto vero che una lunghezza eccessiva può portarlo a restare imprigionato nell’innesco (con conseguente blocco della rotazione del tamburo e sacramenti orribili da proferire…), ma a nostro avviso un decimino di millimetro in più non gli farebbe male.

 

Conclusioni

Il revolver è potente, elegante, ben costruito, robusto, persino economico. Le modifiche studiate da Pietta consentono di divertirsi con il principe dei grossi calibri (se non altro anagraficamente!) in scioltezza e senza troppi pensieri. Attendiamo avidamente una versione con tacca regolabile!

 

Scheda tecnica

Produttore: Fap Pietta, via Mandolossa 102, 25064 Gussago (Bs), tel. 030.37.37.098, fax 030.37.37.100, www.pietta.it

Modello: Saa 1873

Tipo: revolver

Calibro: .44 magnum (anche .357 magnum, .44-40, .45 Colt)

Funzionamento: tamburo fisso, espulsore laterale a bacchetta

Numero colpi: 6

Lunghezza di canna: 7,5 pollici (190 mm), anche disponibile con canna di 120 e 140 mm

Lunghezza totale: 355 mm

Scatto: Singola azione

Percussione: percussore a grano imbussolato nel fusto, con molla di ritorno

Mire: mirino a pinna fisso, tacca di mira a “U” fresata sulla sommità del castello

Sicura: transfer bar di sicurezza che impedisce il contatto tra cane e percussore a grilletto non completamente premuto

Materiali: acciaio al carbonio, guancette in noce

Finiture: castello tartarugato, canna e impugnatura brunite, guancette zigrinate

Peso rilevato: 1.146 grammi scarica

Qualifica: arma sportiva

Prezzo: 544 euro, Iva inclusa