Nessuna relazione tra possesso di armi e omicidi

Verrà presentato la prossima settimana a Norimberga nell’ambito del World Forum on Shooting Activities (Wfsa) lo studio dell’università di Liegi sui fattori che influenzano il tasso di omicidi con armi da fuoco. Non è possibile dimostrare scientificamente alcuna correlazione tra, da un lato, la disponibilità di armi da fuoco e la severità della legislazione in materia, e, dall’altro lato, il numero di omicidi che vengono compiuti con armi da fuoco in un determinato Paese. È​ quanto emerge da uno studio indipendente condotto dal dipartimento di Criminologia dell’Università di Liegi dal titolo “Fattori che influenzano il tasso di omicidio da armi da fuoco”.

Lo studio, finalizzato all’individuazione di eventuali legami tra il tasso di omicidi da armi da fuoco, il loro possesso e la severità della legislazione in materia, è stato realizzato, mediante il ricorso a precise tecniche statistiche, su un campione di ricerca di 52 Paesi che sono stati individuati sulla base di tre elementi fondamentali: il numero della popolazione, il regime politico e l’assenza di conflitti all’interno dei confini nazionali.

Finanziato dal World forum on shooting activities (Wfsa) e condotto in modo indipendente dal professore Michael Dantinne e dalla ricercatrice Sophie André della prestigiosa università belga di Liegi, lo studio dimostra che non vi è alcuna prova scientifica che regole più severe e una riduzione della quantità e del tipo di armi da fuoco legali producano effetti positivi su omicidi, criminalità e terrorismo.

Dallo studio, che verrà presentato la prossima settimana a Norimberga nel corso dell’Assemblea pubblica del Wfsa, e disponibile per il download su https://goo.gl/FD87le, emerge chiaramente come il tasso di omicidi che vengono commessi in un Paese dipenda, prevalentemente, dalle condizioni socio-economiche del Paese stesso. Gli autori dello studio, in particolare, hanno individuato nel tasso di mortalità infantile, elemento principale per valutare le condizioni di povertà di un Paese, il criterio più significativo per analizzare i dati relativi al numero degli omicidi compiuti in un certo Paese.

«È importante che ci siano studi scientifici indipendenti e così approfonditi in grado di rassicurare le istituzioni e la pubblica opinione su temi molto delicati come il rapporto tra possesso legale di armi da fuoco, omicidi e criminalità», afferma Stefano Fiocchi, presidente dell’Associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive e civili (Anpam). «Pertanto ben venga l’analisi compiuta dalla prestigiosa Università belga di Liegi, che ci conforta sul fatto che né il grado di severità della normativa, né il legale possesso di armi da fuoco incidono significativamente sul tasso di omicidi in un singolo Stato. Fermo restando che ogni utilizzo improprio delle armi è fermamente da condannare».

«Dal mio punto di vista, questi dati vanno letti insieme ai risultati del recente studio scientifico condotto da Transcrime (Università Cattolica di Milano, consultabile al seguente link http://fireproject.eu/), che per la prima volta nella storia fornisce dati oggettivi sull’incidenza dei crimini commessi con armi da fuoco nei Paesi dell’Unione europea ed evidenzia che, a differenza delle stime grossolane che circolavano da anni, gli omicidi commessi all’interno di tutti i Paesi dell’Unione, che conta una popolazione di mezzo miliardo di abitanti, siano circa 400 in un anno, con nessun nesso tra maggiore o minore liberalità in materia di possesso di armi legittime», aggiunge Fiocchi.

Secondo il presidente di Anpam, quindi, «appare evidente che le continue ed eccessive restrizioni in materia di legale detenzione di armi non siano una politica vincente per combattere la criminalità e che l’Europa debba puntare piuttosto sul reale controllo del territorio e delle frontiere comunitarie».