Makarov 9×18, regina della guerra fredda

È l'arma corta del blocco comunista. Si caratterizza per finiture esterne spartane ma anche grande affidabilità di porto. Un'arma da collezione, da non sottovalutare come scelta per difesa personale

È una vecchia conoscenza del nostro mercato: i primi esemplari, catalogati nel lontano 1984 (numero 3.912), diedero legittima soddisfazione ai molti appassionati di armi Ex ordinanza provenienti dall’Est europeo. Si trattava, però, di armi catalogate non già per l’originale 9 mm Makarov, ma per un suo "sosia", il 9×18 Police (o 9 Ultra). Ciò ha comportato, inevitabilmente, la sostituzione (e distruzione) delle canne originali, rimpiazzate da pezzi costruiti ex novo per la nuova cartuccia (che, infatti, pur avendo dimensioni apparentemente identiche, é più stretta della 9 Makarov).
Grazie alla Tfc di Villa Carcina (Bs), le armi originali, camerate per la cartuccia che le ha viste nascere, arrivarono in Italia.
Immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, i russi si occuparono del rinnovo del parco armi esistente, sulla base delle esperienze e delle innovazioni maturate negli ultimi, turbolenti anni. In particolare, avevano colpito le realizzazioni tedesche in fatto di munizionamento.
A partire dalla metà degli anni Trenta, in Germania, vennero effettuati studi per ottenere una nuova classe di munizioni per arma lunga, di potenza intermedia tra le cartucce per pistola e per carabina. Questi progetti furono ripresi integralmente dai sovietici e portarono all’adozione della cartuccia da 7,62×39 mm, camerata, tra l’altro, nel celebre Ak 47.
Anche sul fronte delle armi corte, la Walther, in collaborazione con la Geco, sviluppò munizioni dalle prestazioni migliorate, ma utilizzabili da normali semiautomatiche con chiusura labile.
Il risultato fu l’approntamento di tre calibri: 6,45; 8 e 9 mm, denominati "Ultra". Anche questo progetto, evidentemente, dovette stuzzicare l’interesse della nomenklatura tecnica di Mosca, che intendeva sostituire la grossa Tokarev TT-33 con un’arma più piccola e maneggevole camerata, però, per un calibro ancora credibile. I tecnici si ispirarono largamente (praticamente copiarono) alla cartuccia più grossa del progetto "Ultra", caratterizzata da un bossolo di dimensioni intermedie tra quelle del 9 corto (o 9×17 o .380 Acp), fino ad allora il limite superiore delle armi corte tascabili con chiusura a massa, e quelle del 9 mm Luger (9×19), normalmente impiegato in grosse semiautomatiche a chiusura geometrica.
L’obiettivo era quello di ottenere prestazioni quanto più possibile simili a quelle del calibro superiore, mantenendo, nel contempo, le dimensioni e la semplicità costruttiva proprie delle armi camerate per il calibro inferiore.
Una volta fissate le caratteristiche dinamiche della cartuccia venne adottata, in breve tempo, anche l’arma idonea: venne riconosciuto superiore il progetto di Nicolay Fyedorovich Makarov, adottato all’inizio degli anni Cinquanta con il nome di Pm (Pistolet Makarova). Similmente a quanto stava avvenendo in Occidente, con la Nato, anche i Paesi satelliti del patto di Varsavia o, comunque, allineati politicamente all’Urss, puntavano all’uniformità di equipaggiamento. Per questo motivo, la Makarov venne adottata e prodotta in Germania orientale (Pistole M), Bulgaria e Cina (Tipo 59). Anche la Polonia si standardizzò sul calibro, camerato, però, in un’arma di progettazione locale.

La Makarov è una pistola semiautomatica ad Azione mista, con cane rimbalzante, alimentata tramite un caricatore amovibile, monofilare da otto cartucce. L’ impostazione progettuale è strettamente imparentata con quella delle Walther Pp e Ppk: troviamo, infatti, la medesima canna fissa, lunga 96 mm e solcata da quattro righe ad andamento sinistrorso, vincolata al castello tramite uno spinotto trasversale, con la molla di recupero avvolta intorno a essa.
Identica è anche la procedura di smontaggio, che prevede l’abbassamento del ponticello del grilletto, per poi arretrare completamente il carrello e, dopo averne sollevata la parte posteriore, sfilarlo in avanti. Migliorata, a nostro avviso, la sicura: si tratta sempre, come sulla Walther, di una leva posta sulla parte posteriore sinistra del carrello, a due posizioni. La posizione di fuoco rende visibile un riferimento di colore rosso. Invece di bloccare il percussore, interpone tra questo e la battuta del cane un robusto nocciolo di acciaio, che trova parzialmente riscontro, in posizione di riposo, in uno scasso praticato sul lato sinistro del cane. La rotazione della sicura fa sporgere inferiormente, all’interno dell’otturatore, un dente che si impegna nel fusto, impedendo l’arretramento del carrello stesso. L’azionamento della leva avviene in maniera opposta rispetto alla celebre pistola di James Bond (bisogna, cioè, spingere il nottolino verso l’alto), il che, in un primo momento, causa qualche perplessità nelle procedure di manipolazione. Il percussore, non essendo interessato direttamente dal meccanismo di sicura, è di sezione assai più generosa rispetto alle armi tedesche, a tutto beneficio di robustezza e durata.
Come avviene nella maggior parte delle armi russe, è sprovvisto di molla di contrasto. L’unico altro comando esterno è la leva dell’hold open, costituita da un piccolo nottolino di lamiera imbutita, posto sul lato sinistro, dal profilo arrotondato e poco sporgente. Questo componente viene attivato da un dente aguzzo, sagomato nella parte inferiore dell’elevatore del caricatore. Il sistema di scatto è semplice e razionale: il cane, dalla cresta arrotondata, presenta profonde rigature antiscivolo, che consentono un agevole armamento anche con mani bagnate. Non è prevista la mezza monta di sicurezza. La molla cinetica è costituita da una lunga lamina elastica, posta nella parte dorsale dell’impugnatura, che superiormente fornisce la spinta al cane, mentre inferiormente è sagomata in modo da fungere da dente di arresto del caricatore, impegnando un apposito dente sporgente alla base dello stesso. Per liberare il serbatoio, quindi, sono necessarie due mani (come per la Beretta 34), ma il sistema scongiura del tutto il rischio di sganci accidentali, anche dopo urti di notevole entità. Oltretutto, si sono risparmiati componenti, a tutto beneficio della semplicità e della robustezza. Un’altra soluzione di notevole praticità consiste nell’aver destinato a un’unica vite, posta nella parte dorsale dell’impugnatura, sia la ritenzione delle guancette, sia la tenuta della molla cinetica.
Esteticamente, la Makarov si qualifica da sé come una realizzazione dell’Est: tozza, squadrata, priva di ogni fronzolo estetico, rifinita soltanto dove serve. In particolare, la leva della sicura sembra tagliata "con l’accetta". In compenso, le parti interessate dal funzionamento sono riprese in modo più che dignitoso e l’anima della canna presenta una finitura decisamente incoraggiante. Il trattamento superficiale consiste in una spessa brunitura nera lucida, particolarmente resistente all’ossidazione. Cane e sicura, invece, presentano una tonalità melanzana, conferita dai trattamenti termici. Le guancette sono in un solo pezzo, trattenute dalla vite dorsale, in bachelite marrone.
L’esemplare della nostra prova, di costruzione bulgara, presenta al centro delle guance zigrinate uno stemma circolare, che riporta una stella a cinque punte. Sullo spigolo inferiore sinistro, è inserito un anello in filo d’acciaio, per l’attacco del correggiolo. Gli esemplari prodotti in altri Paesi sono pressoché identici (cambiano, ovviamente, i punzoni dell’arsenale), eccetto che per le armi provenienti dalla Germania dell’Est: queste, infatti, montano guancette sprovviste di stella e di attacco per il correggiolo. Il carrello è caratterizzato dalla forma affusolata, ed è quasi interamente liscio, se si escludono gli intagli laterali di presa e una fine bindellina, zigrinata in funzione antiriflesso. ​Gli organi di mira sono anch’essi semplici e funzionali, consistendo in un mirino fisso e in una tacca con finestra a "U" innestata a coda di rondine. Sono assenti i riferimenti bianchi per il tiro in condizioni di illuminazione sfavorevole.
Sul lato destro dell’otturatore, è praticata la finestra di espulsione, di forma ovale e di dimensioni decisamente contenute. Dietro quest’ultima, è situato il robusto estrattore, caricato elasticamente da un pistoncino a molla.
La "ciliegina sulla torta", dopo la catalogazione dell’arma in calibro originale, è data dalla reperibilità, sempre grazie alla Tfc, di munizioni di fresca produzione, provenienti dalla Magyar Lószergyártó Kft. (Mfs) ungherese.
Queste ultime sono offerte nella classica configurazione Fmj, con la tipica palla di profilo emisferico del peso di 95 grani. La linea Mfs comprende anche altri calibri per arma corta, tra i quali il 9×21.
La pistola ha una forma piuttosto compatta e massiccia ma, una volta presa in mano, riempie il palmo in modo decisamente indovinato, consentendo di andare in punteria in modo sciolto e istintivo. Il ponticello è di generose dimensioni ma, essendo il grilletto posizionato molto avanti, l’azionamento diventa, a nostro parere, un tantino difficoltoso se si indossano guanti. Considerando il clima del Paese di provenienza, ciò sembra un difetto non da poco.
Il grilletto è liscio e mediamente arcuato: risulta di agevole acquisizione per mani di tutte le taglie. Ciò che più stupisce, è la qualità dello scatto: viste le finiture esterne ci si aspettava una "carta vetrata" ma, invece, lo stesso è risultato piuttosto pulito, tanto in Singola quanto in Doppia azione.
Il peso di sgancio è piuttosto elevato, ma non tra i più alti riscontrati in armi militari. La corsa del grilletto è normale, in due tempi, nella Singola azione. Risulta un po’ lunga, con un leggero indurimento immediatamente prima dello sgancio, nella Doppia.
I comandi manuali sono piccoli e poco sporgenti, tuttavia agevoli da utilizzare. Le posizioni della sicura sono assicurate da due tacche praticate sul carrello, in cui va a inserirsi un pistoncino in filo armonico alloggiato in una cavità della leva. L’azionamento, così, è duro e netto, scongiurando movimenti accidentali. L’unico particolare che è risultato sottodimensionato è, forse, il nottolino di sgancio del caricatore che, essendo ricavato dalla molla cinetica del cane, è anche piuttosto duro da azionare. ​La prova a fuoco si è svolta sulla distanza di 15 e 25 metri, tiro a due mani, Singola e Doppia azione. Date le prestazioni dichiarate della cartuccia, ci aspettavamo un rinculo secco e violento. Il comportamento, invece, è stato docile sulla mano, con un rinculo morbido e assolutamente non fastidioso. Praticamente nulla la fiammata alla bocca, così come la proiezione di fumo. Il rilevamento, per contro, è stato avvertibile, senza per questo pregiudicare la ripetizione del colpo in tempi ragionevoli.
Questo comportamento può attribuirsi, secondo noi, alle munizioni, che hanno fatto registrare una velocità media di 298 m/sec, con relativi 27 chilogrammetri di energia cinetica.
Si tratta, a ben vedere, di prestazioni del tutto sovrapponibili al calibro 9 mm corto, lontane dal comportamento certificato dai manuali, che riportano una velocità di 340 m/sec con 35 kgm di energia.
Nonostante ciò, il funzionamento dell’arma è stato impeccabile, con un’ espulsione dei bossoli vigorosa e regolare, in senso verticale. I bossoli presentano una leggera affumicatura e sono privi di deformazioni anelastiche. La percussione risulta centrata e potente, senza segni di craterizzazione.
L’arma ha tirato leggermente alto su entrambe le distanze, ma il raggruppamento è stato ottimo, tale da restare nel nero del bersaglio di Pistola standard a 25 metri. Per ottenere un tiro centrato, è stato necessario mirare quattro o cinque centimetri al di sotto della base del nero. A dire la verità, sembra che il buon Makarov, nel progettare la sua pistola, abbia studiato lungamente le Walther, cercando di migliorarle il più possibile: i particolari che molti studiosi hanno sempre criticato nelle realizzazioni tedesche, infatti, riguardano prevalentemente l’assenza di un comando esterno dell’hold open e la fragilità, nel tempo, del barilotto della sicura. Tra tutte le pistole militari, l’arma sovietica è quella che sembra dedicata più per il porto occulto che per il porto in fondina esterna da uniforme. E ancora oggi, infatti, risulta una scelta difensiva indovinata, oltre che un pregevole pezzo da collezione.

​L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – gennaio 2001
Costruttore: arsenali di stato bulgari, russi, cinesi, tedeschi
Distributore: Tfc spa, via Marconi 118b, 25069 Villa Carcina (Bs), tel. 030/89.83.872, fax 030/89.80.357, info@tfc.it
Modello: Pm
Calibro: 9 millimetri Makarov
Funzionamento: chiusura labile, scatto ad Azione mista
Alimentazione: caricatore estraibile monofilare da 8 cartucce
Lunghezza: 160 mm
Altezza: 122 mm
Spessore: 30 mm
Peso: 725 grammi scarica
Sicure: manuale sul carrello, con abbatticane
Accessori: disponibile fondina originale militare e caricatori di scorta
Numero del Catalogo nazionale: 12.605