La Beretta 34 per la guardia di finanza

L’ultima fornitura militare della Beretta 34 fu a favore della guardia di finanza, che richiese alcune modifiche dando vita a una edizione limitata del tutto atipica e, oggi, collezionisticamente appetibile

La storia tramanda che la genesi di quest’arma sia dovuta all’interessamento di Enzo Climinti, alto ufficiale della guardia di finanza, appassionato d’armi (nonché autore di numerose pubblicazioni sull’armamento della guardia di finanza dal XVIII al XX secolo) e di storia patria. La leggenda narra che Climinti sia rimasto affascinato dalle caratteristiche di una Beretta 34 “civilizzata” in 7,65 mm che un altro ufficiale della guardia di finanza, suo amico, aveva acquistato e portava fuori servizio per difesa personale. Quest’arma era stata dotata di una canna leggermente più lunga del consueto e il fondello del caricatore, dotato in origine del caratteristico “becco” appoggiamignolo, era stato molato asportando gran parte del “becco” per agevolare il porto occulto ed evitare danni agli abiti. Fu così che venne avanzata la richiesta alla Beretta per sviluppare una versione custom della 34, in tutto e per tutto simile alla normale fornitura militare, ma dotata di tre caratteristiche speciali: canna in 9 corto della lunghezza di circa 97 mm (quindi circa un centimetro in più della 34 standard); scatto alleggerito a 1.500 grammi (contro i 3-4 chilogrammi e più della 34 normale); caricatore con fondello privo di becco (più un secondo di tipo standard). Era nata la “Beretta modello 34 calibro 9 corto modificato”, dove il “modificato” non si riferisce al calibro, bensì al modello. Di quest’arma furono allestiti in tutto, a quanto finora è dato sapere, 6.327 esemplari, compresi tra la matricola T3891 e T10217. Con l’ultimo esemplare consegnato di Beretta 34 “modificata”, si concluse definitivamente la fornitura di questo modello di arma alle nostre forze armate e, più in generale, la produzione della Beretta 34 (salvo il ritorno di fiamma, nei primi anni Novanta, della “neo 34”, destinata però al mercato civile). Fino a poche settimane or sono, quest’arma gli appassionati italiani l’avevano potuta soltanto sognare: un esemplare risulta essere presente nel museo storico Beretta, un secondo esemplare è inserito nella raccolta tecnica del Pmal di Terni; su tutti gli altri esemplari, dopo il ritiro dal servizio da parte della Gdf (avvenuto nella seconda metà degli anni Ottanta), buio totale. C’è chi era pronto a giurare che fossero state rottamate (e una parte di esse, molto probabilmente, lo è stata), altri dicevano che fossero ancora in qualche misura presenti nei magazzini del corpo. Sia come sia, alla fine del 2017 alla Nuova jager di Basaluzzo (Al) è capitata l’opportunità, insperata, di mettere le mani su un lotto di 120 esemplari dismessi dalla guardia di finanza e “catturati” in Svizzera dopo un rocambolesco inseguimento per mezza Europa. Da lì, il viaggio verso le armerie italiane e verso il meritato riposo nelle collezioni degli appassionati italiani (che, detto con tutto il rispetto, forse meritano più degli svizzeri, o dei tedeschi, o di chi volete voi, di possedere una pistola Beretta militare in serie limitata…). Analizzando una parte cospicua dei 120 esemplari della Nuova jager, si è potuto verificare che questa edizione speciale è stata allestita in due distinte varianti: un primo tipo, che abbiamo riscontrato avere matricola al di sotto di T5000 e carrelli marcati 1977, presenta ancora le tipiche guancette in Filbak con telaietto in ferro delle origini e presenta, pertanto, sul lato sinistro del fusto il tipico anello porta correggiolo. La seconda variante, che abbiamo riscontrato su esemplari con matricole da circa T6000 in avanti e carrelli datati 1978 e 1979, è invece dotata di guancette in plastica zigrinata con il logo delle tre frecce, che coprono i fori nel fusto per l’anello porta correggiolo (mai installato in questi esemplari). Il numero di esemplari a nostra disposizione era troppo esiguo, in rapporto al totale prodotto, per poter azzardare una suddivisione dei blocchi di matricola in funzione della data impressa sul carrello o per stimare con un minimo di precisione quando si sia passati dalla prima alla seconda variante. Possiamo, però, riferirvi che le pistole appartenenti alla prima produzione, quindi con guancette normali, hanno la matricola sul fusto apposta con caratteri differenti rispetto al resto della produzione. Sopra la matricola sono impresse le lettere “G.F.”, a rappresentare l’ente commissionante. Il carrello non è matricolato, come era peraltro la regola sulle armi prodotte nel dopoguerra. La canna presenta la medesima matricola del fusto, su alcuni esemplari è impressa sul lato destro, su altri sul sinistro. Sul lato opposto è presente lo stemma della Repubblica, attestante il collaudo militare. Alcuni esemplari (non tutti) portano inoltre impresso sul fusto il punzone di collaudo dell’arsenale di Gardone (Fag più anno). Giova ricordare che le pistole modello 34 e 35 destinate al mercato commerciale furono dotate di guancette in plastica già dai primi anni Cinquanta, con tre distinte varianti successive, delle quali quella installata sulle 34 “modificate” per la Gdf è l’ultima conosciuta. Tuttavia, è anche opportuno ricordare che le pistole modello 34 destinate all’esercito e agli altri corpi militari dello Stato sono sempre state dotate delle guancette classiche del tipo bellico, in Filbak con telaietto in ferro. Questo, probabilmente, sia per razionalizzare la distribuzione dei ricambi, sia perché comunque l’anello porta correggiolo è stato, paradossalmente, utilizzato in modo massiccio proprio nel dopoguerra, laddove invece è abbastanza difficile trovare una immagine di guerra di un ufficiale che porti al collo il correggiolo (più facile con i militari di truppa armati di pistola). Comunque, da un punto di vista strettamente operativo, l’impiego delle guancette in plastica è senz’altro un miglioramento, sia perché la zigrinatura è molto più grippante rispetto alla scabrosità della bachelite, sia perché il loro profilo è molto meno bombato e più ergonomico. Per contro, per l’installazione di queste guancette sono necessarie viti differenti rispetto a quelle delle guancette in Filbak, con una testa più sottile e larga (la filettatura è ovviamente la medesima). Uno degli aspetti più atipici e immediatamente evidenti, come si è detto, di questa 34 “speciale” è la canna più lunga di un centimetro rispetto al consueto. Non ci è chiarissimo il motivo per cui sia stato ritenuto opportuno farlo, sta di fatto che all’epoca si verificò che la cartuccia regolamentare 9M34 con palla blindata di 93 grani, in questa canna più lunga guadagnava 20 metri al secondo, fatto che abbiamo potuto confermare sperimentalmente nel corso della nostra prova. Per contro, a nostro avviso se si decise di avere una canna più lunga, tanto valeva installare un mirino sulla canna, anziché sul carrello, per poter disporre anche di una linea di mira più lunga. Questo avrebbe ovviamente richiesto di tagliare la sommità dell’anello frontale del carrello (per lo smontaggio e per levare di mezzo il mirino tradizionale), ma l’operazione era già comunemente praticata dalla Beretta su alcuni modelli calibro .22 (Beretta 948 e serie 70) con canna lunga e anche su un allestimento “tardo” della Beretta 52 in 7,65 para. Allo stesso modo, a nostro avviso l’arma si sarebbe potuta giovare di una ben maggior istintività e fruibilità allo sparo, sostituendo la tacca di mira di tipo bellico con una più moderna, come per esempio quella che negli stessi anni equipaggiava le Beretta 70. Opinione personale e opinabilissima, ovvio.
Lo scatto è sempre stato uno dei punti più critici della Beretta 34, visto che è unanimemente ritenuto (e a ragione) pesantissimo. Su alcuni esemplari, supera anche i 4 chilogrammi, che per uno scatto in Singola azione, anche con tutta la buona volontà sul manlevarsi dal rischio di spari accidentali, sono davvero tanti. E bisogna dire che buona parte della cattiva fama che la 34 si è guadagnata in termini di precisione intrinseca, è dovuta in realtà proprio allo scatto o, meglio, alle scarse capacità di gestione di uno scatto così pesante da parte di un militare poco addestrato. Quindi, senz’altro è stata un’opera meritoria quella di prevedere uno scatto di 1.500 grammi in questo allestimento speciale. Il “problema”, però, è come si sia scelto di giungere a questo risultato: non già rettificando e lucidando i piani del cane e del dente di scatto (sarebbe, in effetti, stato molto complicato farlo su migliaia di armi, con procedura artigianale e manuale), bensì sostituendo la molla del cane con una più leggera (è realizzata in un filo armonico più sottile e risulta anche leggermente più corta rispetto all’originale). Considerando che il dente di scatto viene reso elastico anch’esso dalla molla del cane, alla quale è collegato, appare evidente che mettendo una molla del cane più leggera, lo scatto diventa immediatamente più leggero. Il punto è che in una pistola semiautomatica (soprattutto con chiusura a massa), a opporsi all’apertura del carrello finché le pressioni in canna non sono scese a livelli di sicurezza concorrono sia la molla di recupero, sia la molla del cane. E la molla del cane, sia detto per inciso, ha una percentuale non piccola del compito. Ora, appare evidente che a fronte di un indebolimento della molla del cane, sarebbe necessario rivedere anche la molla di recupero, irrobustendola se necessario. Questo (apparentemente) non è stato fatto. La conseguenza è che la pistola è molto più fluida nell’armamento manuale, ma allo sparo, pur non palesandosi fenomeni di apertura anticipata, si manifesta in modo evidente che il carrello urta con violenza maggiore sul cane, mentre lo arma, e anche il cane urta con maggior violenza contro l’elsa del fusto. Nell’esemplare della nostra prova, che avrà sparato sì e no 100 colpi, per questo motivo si sono evidenziate alcune deformazioni sulla parte superiore della faccia anteriore del cane e ci è stata riportata la testimonianza di un militare della Gdf che, esercitandosi con quest’arma negli anni in cui era in distribuzione, fu colpito in volto dalla cresta tonda del cane, spezzatasi di netto. Ovviamente questo può essere stato dovuto a una errata tempra del cane, ma da quanto esposto è comunque opportuno che i collezionisti siano a conoscenza di questo aspetto (anche se difficilmente si sparano migliaia di colpi con un oggetto da collezione…).
Il caricatore ha il classico corpo standard del tipo postbellico (quindi con l’indicazione del calibro e del produttore sulla costola posteriore), la soletta è perfettamente piatta nel lato inferiore, frontalmente presenta uno smusso. Il fondello non è ricavato dalla modifica del classico tipo a becco, ma è di nuova produzione, ad hoc. La sporgenza anteriore serve per poterlo afferrare con le dita per estrarlo dalla sede durante l’operazione di ricarica. Come è noto, con lo sparo dell’ultimo colpo la 34 resta con il carrello aperto, trattenuto dal contrasto con la parte posteriore dell’elevatore del caricatore, quindi per estrarre quest’ultimo, occorre un minimo di sforzo. A nostro avviso, il dimensionamento della sporgenza del fondello è adeguato allo scopo.
E le fondine? Con una canna più lunga di un centimetro, si poneva il problema della compatibilità dell’arma con le fondine in dotazione. A quanto risulta dalle testimonianze finora note, pare che la cosa sia stata risolta rigorosamente all’italiana, asportando il tappo di chiusura in fondo alla fondina e consentendo, quindi, alla canna di fuoriuscire.
La prova completa su Armi e Tiro di marzo 2018
Produttore: Beretta, beretta.it
Distributore: Nuova jager, via Vecchia Novi 21, 15060 Basaluzzo (Al), tel. 0143.48.99.69, fax 0143.48.97.07, nuovajager.it
Modello: 34 modificato
Calibro: 9 corto
Funzionamento: semiautomatico, chiusura labile
Alimentazione: caricatore amovibile monofilare
Numero colpi: 7
Lunghezza canna: 96,7 mm
Lunghezza totale: 165 mm
Scatto: monostadio, peso di sgancio regolato a 1.500 g circa
Percussione: cane esterno, percussore inerziale
Sicura: manuale sul fusto, a leva
Mire: mirino fisso sul carrello, tacca di mira innestata a coda di rondine
Materiali: acciaio al carbonio, guancette in plastica (primo tipo, in bachelite con telaio in ferro)
Finiture: brunitura nero-bluastra lucida
Peso: 666 g
Qualifica: arma comune
Prezzo: circa 350 euro, Iva inclusa