Il Kukri è un’arma!

Una recentissima sentenza della Cassazione, che qualifica il Kukri nepalese come “arma”, riporta d’attualità l’esigenza di uno svecchiamento della normativa sulle armi bianche

La sentenza è la numero 51942 del 1° ottobre 2019, pubblicata la vigilia di Natale, della prima sezione penale della Cassazione. Protagonista, il celeberrimo Kukri, coltello tipico dei gurka nepalesi, “cineseria” (meglio, “nepaleria”…) tipica dei viaggi in Oriente, venduto di libera vendita sia nei negozi specializzati sia, banalmente, sulle bancarelle. Ebbene, per i giudici di legittimità, anche questo oggetto, che a parte le fattezze “etniche” non ha granché davvero di diverso da un coltello da cucina, è un’arma vera e propria, tale da necessitare quindi il porto d’armi per l’acquisto e relativa denuncia all’autorità per la detenzione. Perché? Semplicemente, perché secondo i giudici della corte d’appello “pur essendo mere riproduzioni dei coltelli nepalesi hanno caratteristiche obiettive (dimensioni, fattura) tali da farle ritenere oggetti naturalmente destinati all’offesa alla persona”. Quello della “naturale destinazione all’offesa” è per l’appunto il requisito previsto dall’articolo 30 del Tulps (regio decreto n. 773 del 1931) per considerare “armi” tutto ciò che è diverso dall’arma da fuoco. I giudici della corte d’appello, sulla cui pronuncia si è a sua volta espressa la Cassazione, hanno inoltre specificato che “non viene ritenuto dirimente il fatto che gli oggetti hanno un solo filo di lama e non due”, né tantomeno “non viene ritenute a fronte delle obiettive caratteristiche degli oggetti, circostanza tale da escludere la rilevanza penale del fatto la finalità soggettiva, verosimilmente collezionistica, della importazione”.

La Cassazione ha ritenuto di considerare valide le argomentazioni della corte d’appello, determinando inoltre (in modo abbastanza surreale) che l’argomentazione del difensore, secondo la quale non potevano ritenersi “armi” strumenti da punta e da taglio provvisti di un solo filo, “si riferisce a strumenti diversi, e in particolare ai “coltelli”, oggetti (di dimensioni molto più contenute rispetto a quelli oggetto del giudizio di merito) che hanno una ordinaria vocazione polifunzionale, il che ha reso necessaria la puntualizzazione di cui sopra, specie nelle ipotesi di strumenti a scatto con blocco della lama, in passato ritenuti inscrivibili nella categoria delle armi bianche. Ma è evidente che tale distinzione (lama a due tagli o meno) non viene in rilievo lì dove si tratti di oggetti che per altre ragioni (lunghezza della lama, particolari caratteristiche costruttive che ne rendano agevole l’impiego a fini di offesa alla persona) siano da qualificarsi come naturalmente destinati all’offesa alla persona. Nel caso del coltello, peraltro, la necessaria esaltazione della caratteristica della lama a due tagli si è resa necessaria al fine di delimitare la categoria delle armi bianche ai soli coltelli in concreto assimilabili ai pugnali o agli stiletti (proprio in funzione di definire con certezza i criteri di identificazione e catalogazione), ma da ciò non può – in alcun modo – dedursi, come preteso dal ricorrente – che la particolare caratteristica in questione debba ritrovarsi anche in strumenti dalla univoca e immediatamente percebile vocazione naturale all’offesa, pena la sostanziale elusione della chiara disposizione di legge di cui all’art. 585 c.p”.

La sentenza in oggetto non è che l’ultima di una lunga serie di decisioni giuridiche aventi a oggetto… il nulla. In altre parole, per l’ennesima volta si spacca il capello in quattro discettando di dimensioni, pesi, affilature per stabilire se un oggetto che all’atto pratico non ha alcuna differenza rispetto a un machete da giardinaggio o una mannaia da macellaio, debba comportare l’incarcerazione (o comunque la perdita dello status di incensurato) per lo sventurato cittadino che ne sia stato trovato in possesso. Ancora una volta non può non evidenziarsi come una normativa ormai antica, qual è quella del Tulps e dell’articolo 585 del codice penale, sulle armi bianche comporti un lavoro enorme da parte dei tribunali, per stabilire il sesso degli angeli.

Ancora una volta non si può fare a meno di chiedere alla politica di intervenire per svecchiare una normativa ormai ridicola, la quale punisce un cittadino per la mera detenzione di un pezzo di ferro affilato, solo perché la forma è “più così” rispetto a “più cosà” come potrebbe essere quella di una mannaia, di un machete o di qualsiasi altro oggetto di uso comune. La disciplina delle armi bianche DEVE essere assimilata a quella degli strumenti da punta o da taglio atti a offendere, legalizzando cioè la mera detenzione e sanzionando, se del caso, il porto in assenza di giustificato motivo. Questo è ciò che avviene in tutto il resto dell’Europa e questo è quanto una normativa degna di un Paese civile dovrebbe comportare.

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