Il Cd 477 risponde al Corriere

Il Comitato direttiva 477 ha inviato richiesta di rettifica al direttore del Corriere della Sera, Lucio Fontana, per l’articolo pubblicato ieri dal quotidiano, a firma di Carlo Alberto Romano.

Il Comitato direttiva 477 ha inviato richiesta di rettifica al direttore del Corriere della Sera, Lucio Fontana, per l’articolo pubblicato ieri dal quotidiano, a firma di Carlo Alberto Romano

Ecco la lettera del presidente Andrea Gallinari.

Egregio Direttore, mi permetta di dissentire da quanto scritto nell'articolo su legittima difesa e armi del 29 aprile a firma del dott. Romano, l'articolo infatti contiene affermazioni in parte generiche ed in parte assolutamente non rispondenti alla realtà dei fatti, quantomeno in Italia.

In primo luogo l'automatico collegamento tra armi e legittima difesa è del tutto arbitrario, i cittadini aggrediti, cioè le vittime, spessissimo o sono disarmate e si difendono come possono, al riguardo ricordo il caso di due commercianti, padre e figlio, a cui un rapinatore sparò quattro colpi di rivoltella, i due benché colpiti ripetutamente reagirono con uno sgabello metallico avendo ragione del rapinatore e si salvarono la vita, e il successivo risultato fu che le due vittime vennero indagate e si ritrovarono imputate per eccesso colposo di legittima difesa per poi essere finalmente assolti al processo.

Il cittadino Italiano che si arma per difendere se stesso o la propria famiglia, lo fa consapevole di doversi giustamente sottoporre al rigoroso e approfondito vaglio degli Uffici di Polizia che ne controllano scrupolosamente la sua affidabilità, e sa benissimo che l'uso di un'arma è solo ed esclusivamente una extrema ratio. Purtroppo, l'aggredito, anche che se scampa fortunosamente alla morte difendendosi, sarà quasi sempre destinato ad un successivo calvario giudiziario e dovrà lui dimostrare – a sue spese – di aver reagito sempre in modo proporzionale all'offesa; in caso contrario si vedrà condannato per reati che certamente non aveva nessuna voglia o desiderio di commettere.

Non è certo mia intenzione di mettere in discussione il primato dello Stato nella difesa della sicurezza dei cittadini ed altrettanto lontano da me è qualsiasi intento che possa in qualsiasi modo incoraggiare reazioni sproporzionate ad un'aggressione ma è ovvio che le forze di Polizia non possono essere onnipresenti.

Riguardo a quanto asserito sugli Usa, la cui realtà sociale e politica è lontanissima dalla nostra ed assolutamente non paragonabile a quanto si verifica nel Vecchio continente, le segnalo che l'Fbi redige ogni anno uno studio statistico sul crimine negli Usa, da quando gli Stati Usa hanno in gran parte liberalizzato fortemente la possibilità per i loro cittadini di girare armati si è avuta in quegli Stati una costante e percepibile riduzione del crimine. Nel continente europeo, incomparabile con gli Ua, la Confederazione Elvetica e la Repubblica Ceca sono comunque due tra gli Stati statisticamente più sicuri nonostante i loro cittadini siano armatissimi.

Nel ringraziarla anticipatamente per lo spazio che vorrà dare a questa mia lettera aperta, rappresentativa della realtà e della serietà di milioni di cittadini Italiani onesti che legalmente detengono armi e che il comitato direttiva 477 si onora di rappresentare in parte sempre crescente, le porgo egregio direttore i miei migliori e più sentiti saluti.

 

Il Comitato direttiva 477 aggiunge un comunicato del network europeo Firearms United.

La propaganda non dice mai nessuna verità

Qualunque sia la cornice di senso entro cui si voglia inquadrarla, per quanto acume e per quanta onestà si possano spendere nel descrivere in modo accurato i limiti entro cui una certa “verità” può essere descritta in quanto tale, essa è comunque il (temporaneo) punto di arrivo di un’indagine.

La propaganda non può in nessun caso dire “verità” perché, quando anche enunciasse dati formalmente corretti , il suo scopo è di convincere il lettore, non informarlo: nessuna informazione è neutrale, ma la propaganda non ci prova neanche! E quando la propaganda attacca dell’altra propaganda o si serve di altra propaganda, il risultato è semplicemente altra propaganda.

Di questo ci ha dato una dolorosa conferma Carlo Alberto Romano nel suo editoriale sul Corriere della Sera: un articolo iniziato con interessanti spunti antropologici e filologici diventa l’esempio di quanto il giornalismo possa essere parziale, e di quanto qualcuno che voglia a tutti i costi convincere o assecondare il lettore venga colto da cecità selettiva rispetto alle fonti  –  e nella fattispecie, una cecità che escluda sistematicamente una grande quantità di dati e ne consideri altri da una prospettiva arbitraria e non rappresentativa al fine di dimostrare che in qualche modo le armi da fuoco che cacciatori, sportivi e operatori di sicurezza acquistano legalmente (dopo un lungo iter burocratico lungo il quale sono indagati preventivamente dallo Stato e ne ottengono un documento che certifica la loro estrema affidabilità sotto molteplici profili tra cui quello legale e quello psicologico) avrebbero un qualche tipo di oscura influenza che indurrebbe le persone ad uccidere senza motivo.

È la teoria del cosiddetto “Effetto arma”, sviluppata da Leonard Berkowitz e Anthony LePage in un controverso esperimento del 1967 e già da tempo confutata ed ampiamente screditata dai lavori indipendenti del Crime Prevention Research Center e da John Lott nella pietra miliare delle ricerche del settore: More guns, less crime.

La letteratura scientifica internazionale NON esprime alcuna “convinta perplessità” rispetto al possesso di armi da fuoco da parte dei cittadini. A voler essere generosi, si dovrebbe dire quanto meno che la questione è dibattuta, oppure si implica che gli scritti di studiosi quali Gary Kleck, Jean Karl Soler, Ernst Doblers, Franz Csàszàr, Gary Mauser, James Wright, Peter Rossi e tanti altri – peraltro criminologi di fama pari o maggiore a quella del loro collega Carlo Alberto Romano! – non abbiano valore scientifico, quando il loro valore è ampiamente riconosciuto.

Si parla poi degli Stati Uniti con tali generalizzazioni che ogni pretesa di credibilità è a questo punto vana.

Sarebbero il paese che “ha scelto di non incidere con restrizioni sulla autodeterminazione ad armarsi”, ma non si fa menzione del fatto che la situazione varia anche radicalmente da stato a stato, passando da quelli in cui vige il “Constitutional Carry” (con qualche variazione, il diritto di portare armi per il solo fatto di essere residenti, oggi vigente in 11 Stati, in rapido aumento) a quelli in cui queste sono quasi completamente vietate, anche più che da noi.

E neppure si fa menzione del fatto che sono proprio gli Stati dalle leggi più restrittive quelli in cui la situazione criminale è più drammatica, come non si fa menzione del fatto che dove le restrizioni sono state allentate il crimine ha continuato a diminuire (si veda per esempio il caso di Chicago).

Si evita poi accuratamente di menzionare la natura fallace del famoso mito secondo cui  "negli Usa ci sono dai trentamila ai trentacinquemila morti all'anno per armi da fuoco". Visto e considerato che negli Stati Uniti vivono più di 320 milioni di persone e ogni anno ne muoiono due milioni e mezzo, facendo un rapido calcolo approssimato, il numero dei morti per armi da fuoco negli USA è lo 1,3477% di tutti i morti in generale ogni anno; se poi ci aggiungiamo che di questi fantomatici 30/35mila morti, dai 20mila ai 25mila sono suicidi,  la cosa si ridimensiona ancora: il suicidio è un fattore che solo gli antiarmi reputano rilevante nel computo, perché li aiuta a gonfiare le statistiche. I criminologi seri, d'altro canto,  eliminano sempre i suicidi dall'equazione in quanto chi desidera uccidersi e non ha accesso alle armi da fuoco troverà sempre metodi non controllabili e parimenti letali, come nel caso del Giappone, ove ad un tasso di possesso d'armi dello 0,6% fa da contraltare il fatto che il suicidio rappresenta la principale causa di morte per i maschi tra i 20 e i 44 anni.

Dunque, grossolanamente, scremiamo altri 20mila morti dal  computo e scopriamo che i morti per armi da fuoco negli Usa per  cause diverse dal suicidio rappresentano lo 0,5776% di tutti i morti negli Usa ogni anno.  Se poi da questo 0,5776% si depennano le morti accidentali – che secondo il Cdc rappresentano quasi la metà del rimanente – e poi si tiene in debito conto il fatto che il 96% dei crimini a mano armata viene commesso nel 6% degli indirizzi, con armi detenute in modo illegale da criminali incalliti e nell’ambito di guerre tra bande, si ha di fronte la realtà: la violenza a mano armata negli Usa è un problema che ha a che fare essenzialmente con la criminalità organizzata, proprio come da noi.

Di questo (non sorprendentemente), il prof. Romano non tiene conto, così come non tiene conto del fatto che armi da fuoco detenute legalmente dai cittadini USA vengano usate per sventare più di duemila crimini al giorno, tra gli ottocentomila e i due milioni e mezzo all’anno, e che in quasi tutti i casi sia sufficiente mostrare l’arma o sparare colpi di avvertimento, senza che nessuno venga ferito. Tali sono le conclusioni dello studio di Gary Kleck, criminologo di reputazione e valore pari o superiore a quelle del prof. Romano, il cui rigore inattaccabile ha lasciati anche i suoi avversari senza possibilità di replica.

Tornando da questa parte dell’ Oceano Atlantico, secondo il prof. Romano “ l’analisi di tutti gli omicidi commessi ci dice che il 41 % è riconducibile all’uso di armi da fuoco”.Verissimo! Come è vero che meno del 10% di questi è riconducibile ad armi da fuoco legali, e che solo parte di questi sarebbe impedita se dette armi legali fossero bandite, semplicemente perché in molti casi l’omicidio sarebbe stato perpetrato con altri mezzi.

Il prof. Romano è solo l’ultimo di tanti convinti che una particolare classe di attrezzi dai molti usi produttivi, piacevoli e legali, oltre che utili per difendersi da aggressioni cui altrimenti non si potrebbe che soccombere e ancora più presidio di libertà e democrazia, sia la causa del male e dell’odio nella nostra società.

Noi pensiamo che siano attrezzi che in quanto tali non fanno altro che la volontà di chi li impugna e che se vogliamo una società più sicura dobbiamo lavorare per eliminare le disparità e i disagi sociali ed economici che spesso sono causa di intenzioni omicide e al contempo consentire ,a chi dia ragionevoli garanzie di non abusarne, di dotarsi degli strumenti più efficaci per sventare minacce alla propria ed all’altrui incolumità.

Lasciamo il Sig. Romano e voi con le conclusioni cui è giunto in proposito il grande giurista Edoardo Mori:

1) Non esiste e non può esistere alcuna statistica idonea a dimostrare il rapporto tra numero delle armi detenute e numero di crimini commessi in dato paese.

2) È sicuro che il problema non è costituito dalle armi legalmente detenute, ma dalle armi illegali.

3) È sicuro che una legislazione restrittiva in materia di armi non incide in modo significativo sulle armi illegali e che nessun delinquente si lascerà distogliere dal delinquere con armi (chi vuol commettere un omicidio non si preoccupa di certo delle pene per l'arma!).

4) I dati in nostro possesso dimostrano in modo convincente che il possesso di armi da parte degli onesti, costituisce un efficace deterrente per i criminali.

5) Il numero dei delitti gravi dipende da cause che nulla hanno a che vedere con le armi.

6) È certamente necessario un controllo sulla personalità delle persone che detengono armi da fuoco pericolose.