I 70 anni dell’Ak47

È l'arma moderna prodotta nel maggior numero di esemplari al mondo, protagonista di ogni conflitto dagli anni Cinquanta a oggi

Già nel 2009, si parlava di 70 milioni di esemplari prodotti. Negli ultimi anni, si è arrivati a “sbilanciarsi” fino a parlare di 100 milioni. Ci sono Paesi che hanno la sua sagoma impressa sulla bandiera nazionale, come il Mozambico. Perché l’Ak 47, la più famosa delle creature di Mickhail Timofeyevic Kalashnikov, è decisamente stata la protagonista di qualsiasi conflitto scoppiato nel mondo tra gli anni Cinquanta e… domani. Ben lungi dal pensionamento, ha tra le sue maggiori qualità una rusticità semplicemente straordinaria, che gli consente di funzionare in modo affidabile nei contesti climatici e ambientali più avversi, dai ghiacci del circolo polare artico alle sabbie del Sahara. Concepito per equipaggiare i fanti dell’armata rossa durante la guerra fredda, è stato distribuito a tali e tanti “movimenti insurrezionali” e Paesi amici del blocco sovietico da diventare la prima, vera “arma globale”, cioè universalmente nota ai quattro angoli della terra. Con il crescere della sua fama, sono di pari passo cresciute le sue capacità, tanto che oggi i giornalisti delle testate non specializzate gli attribuiscono una “micidialità” seconda solo, forse, a una bomba nucleare.

Eppure, il suo sviluppo iniziale non è andato così dritto come un’arma dall’affidabilità così leggendaria farebbe oggi supporre: anzi, si è seriamente rischiato che il suo destino fosse segnato già alla fine degli anni Cinquanta, cioè una manciata di anni dopo l’inizio della sua produzione in grande serie. Ma le cose, come la storia ci insegna, sono andate diversamente. Oggi, a quattro anni di distanza dalla morte del suo artefice (1919-2013), è giusto e doveroso celebrare i settant’anni dalla messa a punto del primo, vero prototipo di Ak 47, anche se l’adozione ufficiale avvenne solo due anni più tardi, cioè nel 1949.

Michkail Timofeyevic Kalashnikov è nato nel 1919 a Kurya, città del governatorato dell’Altai, diciassettesimo dei 19 figli avuti da Timofey Aleksandrovic Kalashnikov e Aleksandra Frolovna Kaverina. Nato e cresciuto in un contesto prevalentemente agricolo (i genitori erano contadini), Kalashnikov fu fin da piccolo attratto da qualsiasi tipo di macchinario, ma fu anche ispirato dal pensiero intellettuale, tanto da sognare di diventare un poeta. Il primo contatto con le armi da fuoco risale al periodo prebellico: nel 1930, suo padre e gran parte della sua famiglia furono deportati a Nizhnyaya Mokhovaya, in Siberia, e per contribuire alla sopravvivenza in quei tempi difficili, il giovane Michkail dovette integrare l’attività agricola con la caccia. Dopo aver completato gli studi, Kalashnikov tornò a Kurya, trovando lavoro come meccanico in una fabbrica di trattori. Si tramanda che sia stato in quel periodo che sbocciò concretamente la sua passione per le armi. Nel 1938 fu arruolato nell’armata rossa e, date le competenze di meccanica e la bassa statura, fu nominato motorista di carro armato, diventando successivamente capo carro. Kalashnikov entrò in guerra su un carro T34 del 24° reggimento corazzato, 108a divisione: fu ferito in combattimento durante la battaglia di Bryansk dell’ottobre 1941 e dovette rimanere ricoverato fino all’aprile del 1942. Si narra che fu proprio ascoltando in ospedale alcuni commilitoni feriti lamentarsi delle caratteristiche delle armi d’ordinanza attualmente in servizio, che gli sia venuta per la prima volta l’idea di sviluppare un’arma di moderna generazione per l’esercito sovietico. Anche se è oggi comunemente noto e dato per assodato che Kalashnikov abbia sviluppato il suo Ak 47 proprio in concomitanza con la propria convalescenza, in realtà il suo primo prototipo fu “semplicemente” una pistola mitragliatrice in calibro 7,62 Tokarev. L’arma aveva elementi in comune, dal punto di vista estetico, con le vecchie Ppd e Ppsh41 (principalmente il manicotto intorno alla canna), forse doveva qualcosa anche al Thompson 1928 (impugnatura anteriore, forma della zona posteriore della carcassa) mentre il calciolo pieghevole era senz’altro ispirato a quello dell’Mp38 o 40. Tutte armi che i sovietici già nel 1941-42 ben conoscevano. L’arma non fu adottata, anche se questo non significa che le autorità militari sovietiche non fossero alla ricerca di un’arma più compatta e possibilmente ancor più economica del Ppsh 41 (come l’adozione della Pps 43 dimostra), ma questo progetto un risultato, comunque, lo conseguì, cioè quello di evidenziare il suo talento di progettista: talento che fece sì che Kalashnikov fosse assegnato, già dal 1942, al centro scientifico-sperimentale per lo sviluppo delle carabine del comitato centrale superiore d’artiglieria dell’armata rossa. Qui iniziò un fervido lavoro di sviluppo di armi di nuova concezione, “tarate” sul progetto di cartuccia intermedia calibro 7,62 mm sviluppato da Nikolai Elizarov e Boris Semin. Malgrado quanto si potrebbe pensare, tuttavia, anche in questo caso il primo risultato pratico degli sforzi progettuali di Kalashnikov non fu il prototipo di un fucile d’assalto, bensì quello di una carabina semiautomatica, assimilabile da un punto di vista concettuale e di impiego con la più celebre Simonov Sks 45. L’arma di Kalashnikov viene dai più accomunata al Garand, in realtà in comune con l’arma statunitense ha forse un vago richiamo estetico (molto, molto vago…), mentre dal punto di vista meccanico è profondamente differente, lavorando innanzi tutto con un pistone a corsa corta ed essendo anche dotata, come l’Sks, di una baionetta ripiegabile integrata. Questa carabina, un altro binario morto in realtà, rappresenta tuttavia un primo tassello importante nello sviluppo del futuro Ak 47 in quanto è la prima concretizzazione pratica, seppur forse appena abbozzata, del sistema di chiusura con testina rotante che Kalashnikov applicherà poi alla sua più fortunata e celeberrima creatura. Viene generalmente tramandato che l’Ak 47, nella versione giunta alla produzione di serie, sia una “copia” della serie di fucili d’assalto tedeschi Mkb42, Mp43-44 e Stg 44, ma in realtà osservando i progetti dei colleghi-concorrenti di Kalashnikov si può percepire il fatto che il lavoro di sviluppo, anche se può essere stato in qualche momento e modo ispirato ai risultati raggiunti dai tedeschi (risulta che il primo Sturmgewehr fosse stato mostrato alla dirigenza tecnica sovietica almeno dalla metà del 1943, suscitando viva impressione e lo stesso Hugo Schmeisser, padre dell’Stg 44, fu “traslocato” in Unione sovietica dal 1946 al 1952), comunque non fosse privo di potenti spunti indipendenti e originali: in particolare, il progetto presentato da Georgi Shpagin nel 1944 sembra una versione ingrandita della sua pistola mitragliatrice Ppsh 41, dotata di una impugnatura a pistola separata; Fedor Tokarev realizzò sempre nel 1944 una versione rimpicciolita del suo Svt 40, dotata di caricatore da 30 colpi e bipiede; i prototipi messi a punto (in modo indipendente l’uno dall’altro) da Sergei Korovin e German Korobov nel 1946 (ma non furono i soli), addirittura, hanno struttura bull-pup. A proposito di Korovin, occorre considerare che già nel 1933 mise a punto un originale prototipo di carabina d’assalto, camerata però in .351 Self loading e dotato di una semplice chiusura a massa. Ciò per dire che anche se in pratica furono solo i tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, a dare concreta applicazione (e distribuzione ai reparti) del concetto di arma d’assalto a elevata capacità di fuoco camerata per una cartuccia intermedia, in realtà questo concetto di arma era già ben presente praticamente in tutta Europa fin dalla fine della prima guerra mondiale. Allo stesso modo, già dall’inizio del secondo conflitto si era chiarito ogni oltre ragionevole dubbio che il futuro per le armi individuali doveva necessariamente passare attraverso la tecnologia della lamiera stampata. Messi insieme questi due elementi, è chiaro che molte delle realizzazioni pratiche sul punto non possano far altro che finire per assomigliarsi, tutte quante. Uno dei progettisti più vicini a veder adottato un proprio progetto fu Alexey Sudayev, già artefice della pistola mitragliatrice Pps 43, che nel 1944 sottopose all’esame delle autorità un prototipo, denominato As44, che fu valutato favorevolmente per quanto riguarda le caratteristiche complessive, ma fu comunque ritenuto troppo pesante. Sudayev continuò a rifinire il proprio progetto presentando almeno altri tre prototipi che, pur risparmiando qualcosa sul peso, ebbero a loro volta alcuni problemi di precisione, controllabilità e durata. A far sì che oggi si celebrino i settant’anni dal progetto di Kalashnikov e non di Sudayev lo si deve forse al destino, che fece sì che Sudayev si ammalasse gravemente e morisse nel 1946, a soli 34 anni. Anche Kalashnikov, per parte sua, non era rimasto inoperoso: il primo progetto di fucile d’assalto “intermedio” fu sottoposto alle autorità competenti all’inizio del 1946 e fu ritenuto sufficientemente meritevole da autorizzare la realizzazione di un prototipo. In realtà, i prototipi sviluppati di cui si abbia notizia sono almeno tre: gli elementi comuni sono la realizzazione in lamiera stampata, il sistema di presa gas con pistone a corsa corta (concettualmente simile all’Sks 45 di Simonov) e l’otturatore a testina rotante concettualmente simile a quello della carabina del 1944. La struttura generale di queste armi è decisamente differente da quella dell’Ak47 oggi universalmente noto. La differenza principale tra il primo e il secondo prototipo di “Ak46” è che nel primo il portaotturatore è lasciato quasi completamente scoperto dalla parte superiore della carcassa, mentre nel secondo prototipo quello che può definirsi ”upper” circonda in modo quasi totale il portaotturatore. Il terzo prototipo è molto simile al secondo, ma al posto della calciatura fissa in legno presenta un calcio pieghevole tipo Mp40, che sarà poi ripreso sull’Ak 47 vero e proprio. A contraddistinguere maggiormente questi prototipi c’è il fatto che la leva sicura-selettore è sul lato sinistro dell’arma, così come anche la manetta di armamento.
Da quanto esposto risulta evidente che le idee progettuali di Kalasnikov, alla data del 1946, erano abbastanza lontane da quello che è l’Ak 47 di oggi. Ma quindi, che cosa effettivamente diede l’impulso alla creazione del prototipo che sfociò nel “vero” Ak 47? I tedeschi? No. In realtà, molto più prosaicamente, Kalashnikov si ispirò ai lavori compiuti dai propri colleghi, confrontando i loro prototipi con il proprio e valutando, su ciascun aspetto meccanico, quale fosse la soluzione più razionale per dare vita a un’arma semplice, robusta, funzionale, possibilmente leggera. Si dice che i prototipi che maggiormente lo ispirarono siano stati quelli di Sudayev e di Bulkin, ma mentre osservando le realizzazioni del primo diventa difficile identificare una parentela con l’Ak 47, dai prototipi di Bulkin risultano vicinanze estreme con il sistema di recupero gas, del tipo con pistone a corsa lunga (sì, è vero, come sull’Stg 44…), ma soprattutto nel modo di concepire la carcassa, realizzata in un solo pezzo con un coperchio superiore a coprire la corsa del portaotturatore. Proprio il coperchio dell’Ak 47 sembra preso pari pari dai prototipi di Bulkin, mentre sembra che per quanto riguarda il concetto del sistema di apertura dell’otturatore, Kalashnikov abbia preferito restare fedele alla propria testina rotante, giudicando poco efficiente il sistema del “collega” che, comunque, prevedeva anch’esso una testina rotante, ma diversamente congegnata.
Con il prezioso, anche se probabilmente involontario, contributo degli altri progettisti, fu nel 1947 che vide finalmente la luce il primo “vero” prototipo di Ak47, incorporante quelle modifiche che lo resero per la prima volta un “Ak”: si tratta del prototipo contrassegnato “Ak47 n.1”, che utilizza il sistema di recupero gas con pistone a corsa lunga di Bulkin, la testina rotante di Kalashnikov, il coperchio posteriore di Bulkin ma, soprattutto, un nuovo pacchetto di scatto che diventerà uno degli elementi più caratteristici dell’arma, con l’inconfondibile leva di sicurezza-selettore sul lato destro che, in posizione di sicura inserita, funge anche da coperchio parapolvere per la scanalatura di scorrimento della manetta di armamento. Quest’ultima non ha ancora la conformazione definitiva, ma è già sul lato destro e un tutt’uno con il portaotturatore, caratteristica che si manterrà poi con l’Ak 47 “di serie”.
Riguardo alle possibili influenze del tedesco Hugo Schmeisser (padre, come accennato, della serie di fucili d’assalto tedeschi Haenel Mkb42, Mp43-44, Stg 44), ovviamente in quegli anni di segreto assoluto non è possibile escludere che vi siano state collaborazioni con il giovane inventore russo, ma occorre anche sottolineare come vi siano alcuni elementi che debbano far propendere in senso negativo. Schmeisser fu infatti “arruolato”, se così si può dire, nel 1946 insieme ad altri 15 progettisti tedeschi in uno speciale dipartimento di ricerca e sviluppo (battezzato dipartimento 58) nella fabbrica di Izhevsk, laddove invece Mickhail Kalashnikov risulta che abbia messo a punto il suo prototipo del 1947 alternando il proprio lavoro tra le fabbriche d’armi di Tula e di Kovrov. Solo nel 1948, quando il prototipo era già pienamente definito, Kalashnikov si spostò a Izhevsk, si dice perché a Tula regnavano incontrastati Tokarev e Simonov, mentre a Kovrov il deus ex machina della progettazione in materia di armi era Degtyarev, “mostri sacri” che difficilmente avevano la propensione a dare retta, e spazio, a un giovane carrista venuto dal niente, senz’altro promettente, ma altrettanto privo di studi specifici e, soprattutto, di esperienza.
Sia come sia, è possibile che tra il 1948 e il 1949, anche se alcuni esemplari di pre-serie furono sicuramente realizzati a Tula, sia stato a Izhevsk che si è materialmente compiuto il lavoro di “affinamento” finale, che è sfociato infine nell’adozione formale dell’arma iil 18 giugno 1949, con decreto del consiglio dei ministri. Con atto numero 86 del ministero della guerra, il successivo 29 giugno fu disposta la distribuzione alla truppe.
La prima versione dell’Ak 47, così come adottata nel 1949, riprendeva in modo ortodosso i concetti costruttivi consolidatisi durante il conflitto appena trascorso: quindi, l’arma utilizzava un massello in acciaio realizzato dal pieno come supporto per la canna e sede per le alette di chiusura dell’otturatore, ma a questo blocchetto era fissato mediante ribattini uno scatolato a “U” in lamiera stampata che costituiva il vero e proprio fusto dell’arma e che rappresentava, quindi, il bocchettone del caricatore, la sede per il pacchetto di scatto, la guida per lo scorrimento del portaotturatore. Insomma, l’ossatura portante dell’Ak. Già praticamente da subito, si decise di declinare l’arma in due varianti principali: quella standard, con calcio fisso in legno, e quella per impieghi speciali (carristi, paracadutisti eccetera), con calcio pieghevole tipo Mp40 (Aks). In entrambi i casi l’impugnatura era a pistola separata, realizzata mediante due gusci in legno uniti tra loro da una vite, che attraversava un codolo solidale al ponticello e fissato alla carcassa mediante ribattini. Nonostante le tecniche di costruzione di armi mediante lo stampaggio di lamiera fossero ormai da considerarsi consolidate in Unione sovietica nel periodo postbellico, sta di fatto che con l’avvio della produzione si riscontrarono problemi di industrializzazione, che si traducevano in una elevata percentuale di telai difettosi. Inoltre, si riscontrò che con il procedere dell’uso, si verificavano alcuni problemi di tenuta tra lo scatolato in lamiera e il massello centrale dell’arma. Per questo motivo, dopo poco più di due anni di produzione, nel 1951, si decise di eseguire una modifica costruttiva decisamente radicale e in completa controtendenza rispetto al periodo: si decise, cioè, di passare a un fusto completamente realizzato dal pieno, lasciando del tutto perdere la lamiera stampata. È una soluzione decisamente incredibile, considerando soprattutto quali fossero le proporzioni dell’armata rossa dell’epoca, senza contare poi le esigenze dei Paesi caduti sotto l’influenza sovietica nel periodo posbellico e riuniti dal 1955 sotto l’alleanza militare del Patto di Varsavia. Il nuovo Ak47 sfruttava quindi una carcassa monopezzo in acciaio ottenuta mediante la bellezza di 120 operazioni di macchina utensile. Intendiamoci, la cosa è sorprendente pensando al fatto che la progettazione originaria prevedeva una costruzione in lamiera stampata, ma ovviamente non si può non menzionare il fatto che anche a Occidente, in quegli anni, non è che le lamiere stampate abbiano avuto miglior fortuna. Con questo tipo di castello fu anche ridisegnata l’impugnatura, che diventò monopezzo, vincolata al castello per mezzo di un vitone inferiore.
Tutto risolto, quindi? In realtà, ancora una volta, no. Il “nuovo” Ak47, pur avendo risolte le questioni relative alla carcassa in sé, palesò incertezze nel sistema di fissaggio del calcio in legno, che prevedeva una sorta di zoccolo in acciaio innestato alla parte posteriore della carcassa mediante una guida a “T” e un perno trasversale. Per questo motivo, dopo altri tre anni di produzione (cioè dal 1951 al 1954 circa), il sistema di fissaggio della calciatura fu ulteriormente modificato, arrivando all’assetto definitivo. L’occasione fu propizia per apportare ancora alcune modifiche di dettaglio, per esempio sopprimendo le sporgenze sulla parte superiore dei lati della carcassa, eliminando le nervature di alleggerimento sullo stelo del pistone di presa gas (che fu anche ridotto di sezione allo scopo di mantenere grosso modo lo stesso peso complessivo), aggiungendo le nervature di irrigidimento sul caricatore e così via. Questa è la terza, e definitiva, variante dell’Ak47, quella che ha conosciuto la maggior produzione in assoluto, oltre che in madrepatria anche in alcuni Paesi satelliti.
Con l’inizio della distribuzione dell’Ak47, in versione più o meno definitiva, ai reparti, si cominciarono a evidenziare i suoi indubbi pregi: grande facilità di smontaggio e rimontaggio, robustezza meccanica complessiva, resistenza agli agenti atmosferici avversi. Per contro, cominciarono a evidenziarsi anche alcuni difetti, tra i quali l’ergonomia non ottimale (in particolar modo per quanto riguarda la versione a calcio pieghevole), la precisione non entusiasmante e una certa tendenza al rilevamento nel tiro a raffica. Inoltre, c’era sempre il problema della lavorazione del castello, che continuava a essere incompatibile con i principi della produzione in grande serie a costi e tempi contenuti. Per questo motivo, almeno a partire dal 1955, ma soprattutto nel triennio 1957-59, mentre Michkail Kalashnikov cominciò un lavoro di modernizzazione della propria creatura (che non a caso sarà poi universalmente nota come Akm, cioè Avtomat kalashnikova modernizirovanniyi, cioè fucile automatico Kalashnikov modernizzato), altri progettisti si fecero sotto con propri prototipi, che quindi avrebbero potuto anche soppiantare completamente l’Ak47, relegandolo al ruolo di semplice comparsa momentanea nella storia delle armi del XX secolo. Tra questi, meritano menzione Alexander Kostantinov, il celeberrimo Simonov ma soprattutto German Korobov (di nuovo…), il quale riuscì a mettere a punto un’arma, denominata Tkb517, che nel corso dei test comparativi fu ritenuta, rispetto all’Akm, superiore in termini di precisione, controllabilità nel tiro a raffica e costi di produzione, inoltre risultò anche composta da un numero inferiore di pezzi e di peso più contenuto rispetto all’Akm (che, comunque, rispetto all’Ak47 era già più leggero di circa un chilogrammo, grazie al castello stampato di nuova concezione e ad altri piccoli accorgimenti). Malgrado questi innegabili pregi, l’arma di Korobov non fu adottata, forse perché si preferì restare legati a una cellula, quella dell’Ak47, che al di là dei propri limiti aveva dimostrato un’affidabilità eccezionale. Quindi, fu l’Akm a essere adottato al posto dell’Ak47, nel 1959, soppiantando l’Ak con castello realizzato dal pieno in pratica solo 5 anni dopo che la versione definitiva era stata messa a punto (anche se, ovviamente, l’Ak con castello forgiato rimase in produzione ancora per anni, specialmente nei Paesi satelliti).
Rispetto all’Ak47, la differenza più sostanziale è il castello in lamiera stampata, diversamente conformato rispetto a quello del 1949 e molto più robusto in particolare nella zona dell’interfaccia con il massello di acciaio di supporto della canna e delle alette di chiusura dell’otturatore. Fu modificato anche il coperchio superiore in lamiera, aggiungendo alcune nervature di rinforzo; la versione a calcio pieghevole (Akms) fu dotata di un blocco che andava ad agire su entrambe le cerniere dello snodo, anziché su una sola, per diminuire il lasco che con l’uso veniva a crearsi. Una delle novità più interessanti, però, fu a carico del pacchetto di scatto, al quale fu aggiunto un leverismo (5 pezzi in tutto) che andava a intercettare il cane armato, ritardando l’abbattimento di quest’ultimo nel tiro a raffica per qualche millisecondo dopo la chiusura dell’otturatore. Questo dispositivo viene generalmente definito un “rallentatore di cadenza” di tiro, ma è un dato di fatto che tanto l’Ak 47 quanto l’Akm viaggiano intorno ai 600 colpi al minuto, senza particolari differenze. Lo scopo del dispositivo, in realtà, è un altro: i tecnici sovietici si erano infatti accorti che nell’Ak47, quando l’otturatore andava in chiusura, dopo aver urtato contro il castello avvenivano uno o due piccoli rimbalzi da parte del portaotturatore, prima del definitivo assestamento in chiusura. Se, però, nel tiro a raffica, il cane si sganciava proprio durante uno di questi rimbalzi, l’urto sul percussore veniva disturbato da questo rimbalzo e potevano derivare, quindi, percussioni di forza insufficiente o addirittura mancate. Il minimo ritardo nello sgancio del cane aveva, quindi, lo scopo di consentire al portaotturatore di assestarsi definitivamente in chiusura. Per migliorare la controllabilità nel tiro a raffica, infine, fu aggiunto alla volata un compensatore dalla tipica forma “a fetta di salame”, che deviando opportunamente i gas di sparo aveva (e in effetti ha) lo scopo di contrastare il rilevamento verso l’alto e di lato nel tiro a raffica.
Con questo nuovo assetto, la creatura di Kalashnikov ha letteralmente invaso il mondo, insieme ovviamente anche alle precedenti varianti (che, man mano che venivano sostituite nei magazzini di mobilitazione dalle versioni più moderne, venivano “girate” ai Paesi alleati e amici), finché nella metà degli anni Settanta non si è cominciato a pensare alla sostituzione del calibro 7,62×39 mm con una cartuccia più moderna, in calibro 5,45 mm. Ma questa… è un’altra storia!
L'articolo completo è pubblicato su Armi e Tiro di dicembre 2017