Finalmente dati seri!

Presentati all’Università Cattolica di Milano i risultati del primo studio sistematico sugli omicidi commessi con armi da fuoco nella Ue e sui sequestri di armi illegali: risultati completamente diversi da quanto avevano a suo tempo millantato le autorità europee

 

Si è svolta oggi all’Università Cattolica di Milano la conferenza finale del progetto Fire, destinato alla lotta al traffico illecito delle armi, alle relative rotte e ai trafficanti a livello europeo. In tale occasione è stato presentato lo studio redatto da Marina Mancuso (in foto), ricercatrice di Transcrime (centro interuniversitario della Cattolica, dell’Università di Bologna e dell’Università di Perugia), che per la prima volta fornisce dati oggettivi sull’incidenza dei crimini commessi con armi da fuoco nell’ambito dei 28 Paesi membri della Ue. Lo studio, organizzato grazie anche al contributo del politecnico di Milano, ha analizzato tutte le notizie di cronaca disponibili nel periodo compreso tra il gennaio 2010 e il marzo 2015 relative ai sequestri di armi illegali e agli omicidi o tentati omicidi commessi con armi da fuoco nei 28 Paesi Ue, restituendo una statistica di valore assoluto, tanto più importante se si considera che la proposta di revisione della normativa europea sulle armi si è basata su dati quantomeno fantasiosi, che denunciavano addirittura 10 mila morti all’anno a causa delle armi da fuoco. La realtà, in effetti, non potrebbe essere più diversa! Considerando, infatti, sia gli omicidi perpetrati, sia quelli solo tentati, gli omicidi collegati alla criminalità (quindi commessi con armi illegali), quelli commessi dalle forze dell’ordine, quelli commessi nella cerchia famigliare e gli incidenti di caccia, il numero totale di eventi verificatisi tra il 2010 e il 2015 è di 1.618 omicidi e 1.274 tentati omicidi. La maggior concentrazione si verifica nei Paesi con una criminalità organizzata tradizionale e radicata, o con una elevata attività di gang criminali e, soprattutto, non sembra avere collegamento alcuno con la maggiore o minore liberalità in materia di armi legittime. Per oltre il 45 per cento dei casi, l’arma preferita è la pistola, seguita dalle carabine (meno del 30 per cento dei casi). I fucili a canna liscia incidono per meno del 15 per cento, i revolver per poco più del 5 per cento. Gli autori dei delitti provengono per quasi il 60 per cento dei casi dall’Europa meridionale, sono nel 97 per cento dei casi di sesso maschile, di età compresa maggiormente tra i 20 e i 35 anni.

 

Alla presentazione dei dati è stato invitato anche Fabio Marini, il commissario Ue responsabile della Task force per la lotta al traffico di armi, il cui lavoro, come è noto, in parte responsabile del progetto liberticida di modifica della direttiva europea sulle armi, è stato fortemente criticato nei mesi scorsi, specialmente grazie a un accurato lavoro di contro-ricerca svolto da Katja Triebel di Firearms united. 

 

L’indagine ha riguardato anche il traffico illegale di armi su piccola scala (1.893 casi, riguardanti una sola arma), media scala (1.139 casi per 1-9 armi sequestrate) e larga scala (243 casi per 12.980 armi sequestrate). Dall’analisi dei risultati, il primo elemento interessante è che sono in realtà pochi soggetti i responsabili della maggior parte del traffico di armi: quasi il 70 per cento delle armi sequestrate apparteneva a meno del 10 per cento degli arrestati. I trafficanti sono maschi (94 per cento), in maggioranza di età compresa tra i 20 e i 24 anni e per oltre il 40 per cento dei casi provengono dall’Europa meridionale, le armi sequestrate sono in maggioranza pistole (quasi il 35 per cento del totale), ma tra le armi lunghe quella più frequentemente oggetto di sequestro è il Kalashnikov, nelle sue varie versioni.